Nel 1564 fu abbattuto l'isolato che si trovava fra il palazzo del Legato e
il Palazzo Re Enzo, per aprire l'attuale piazza Nettuno.
Fu uno dei maggiori interventi urbanistici e vi si collocò al centro
la celebre fontana del Nettuno (il "Gigante" per i bolognesi, opera
di Jean de Boulogne (Giambologna), 1567.
Nel lato che costituisce la continuazione del Palazzo Comunale, dove oggi sono
il Sacrario dei Caduti Partigiani, addossate al muro, vi erano le botteghe dei
ramai.
A sinistra si erge Palazzo Re Enzo, costruito nel 1244-1246 con le due trifore
che corrispondono alla stanza diurna di Enzo, figlio di Federico II, durante
la lunga detenzione a Bologna.
La statua del Nettuno rappresenta il dio armato di tridente, quattro delfini
più in basso e altrettante sirene che premono i seni e fanno uscire l'acqua.
Della statua esiste anche da un bozzetto, presentato al papa per l'approvazione,
che si trova nella sala 15 del Museo Medievale situato nel Palazzo Ghisilardi-Fava.
Il Nettuno nacque tra liti che si conclusero con la decisione dello scultore
fiammingo di fondere da solo la statua.
Da questa decisione sorsero molti dei problemi del "Gigante" che subì
alcuni interventi di restauro effettuati da nomi famosi.
Nel 1563 papa Pio IV inviò un documento al vicelegato Pier Donato Cesi
in cui riconosceva il proprio dovere di prendersi cura del buon andamento della
città e dei propri sudditi con opere di decoro urbano e di servizi pubblici
in tutto lo Stato Pontificio: ricorda la costruzione di una precedente fontana
tra il 1520 e il 1524 nella piazza effettuata dal vicelegato Altobello Averoldi
che aveva utilizzato l'acqua di una sorgente che si trovava nei pressi della
chiesa e del monastero di San Giovanni Bosco le cui condutture avevano cessato
di funzionare. Nel documento non si dice niente di specifico in merito alla
futura forma della fontana, sulle sue dimensioni, sui costi, sul tipo di decorazione
e niente sulle figure dei possibili artisti.
Cesi innanzitutto provvide al rinnovamento dell'acquedotto danneggiato, collegato
alla sorgente denominata fonte Remonda nei pressi di San Giovanni Bosco. Il
primo contratto per la nuova fontana risale al 1563; è un documento in
cui il vicelegato Pier Donato Cesi affida il progetto all'architetto Tommaso
Laureti da Palermo e allo scultore fiammingo- fiorentino Gianbologna.
USI E ABUSI DELLA FONTANA
Innalzata per abbellire la nuova piazza voluta dal vicelegato Pier Donato Cesi,(
FORI ORNAMENTO), come si legge sulla vasca marmorea, la fontana del Nettuno
venne presto usata dai bolognesi per scopi più pratici e immediati. Attorno
ad essa infatti popolane e venditrici di ortaggi si accalcavano per sciacquare
il bucato e pulire le verdure, prendendo così alla lettera la sua principale
funzione( POPULI COMMODO) rimarcata su un'iscrizione posta su un lato del basamento.
Per un po' di tempo fu tollerata la presenza di panni da lavare, il continuo
vocio, la presenza di rifiuti di verdure che andavano ad otturare le condutture.
Il 30 marzo 1588 un bando vietava di usare la fontana come lavatoio, sotto pena,
per le donne di
"cinquanta staffilate, oltre la perdita di vasi, bugate e ogni altra cosa"
e gli uomini incorrevano invece " in tre tratti di corda", una dolorosa
punizione corporale inflitta pubblicamente proprio a due passi dal Nettuno,
presso il voltone detto appunto della corda, che fino ai primi anni del novecento
si apriva accanto al palazzo Renzo, dove oggi passa via Rizzoli. Dalla sua sommità
pendeva una robusta fune, alla quale il colpevole veniva legato e lasciato poi
stramazzare al suolo tante volte quanti erano i "tratti" o strappi
di corda da infliggere. Il provvedimento però produsse scarsi risultati,
infatti pochi anni dopo, il 30 settembre 1595, i governanti emisero un altro
bando con cui si ordinava agli acquaioli ambulanti di attingere acqua esclusivamente
dalla fontana vecchia, lungo il fianco settentrionale del Palazzo del Comune(
l'attuale via Ugo Bassi).
L'unica eccezione era fatta per i "Todeschi" cioè per le guardie
svizzere al servizio del Legato e per i due acquaioli del palazzo civico. Con
lo stesso editto veniva ripetuto il divieto di" lavare herbaggi, bugate
e altra sorte d'immonditie che apportano grandissimo danno a detta fonte".
Anche questa ordinanza finì per lasciare le cose come stavano. Poiché
spesso veniva usata anche come pubblico vespasiano, nel 1604 fu posta una recinzione
attorno alla statua( rimossa nel 1888). Ad uso degli acquaioli di palazzo e
dei passanti che volevano dissetarsi, ai lati della ringhiera furono collocate
quattro fontane con vasche di marmo.
La statua del Nettuno durante le due guerre mondiali fu rimossa dal suo piedistallo
e portata in luoghi considerati più sicuri.
Bozzetto del Nettuno
Jean de Boulogne detto Gianbologna (Douai 1529-Firenze1608)
bronzo; alt. cm. 78,4
Museo civico Medievale
Palazzo Ghisilardi- Fava
Sala 15
E' possibile che sia questa la statua in bronzo presentata a Papa Pio 1V dal
suo artefice nel maggio del 1564. Il Giambologna aveva iniziato a lavorarvi
fin dall'agosto dell'anno precedente, quando venne ingaggiato dal cardinale
Pier Donato Cesi insieme al fonditore Zanobio Portigiani e al pittore siciliano
Tommaso Laureti, che pochi giorni prima aveva avuto l'incarico di progettare
la struttura architettonica della Fontana. Il tema del Nettuno, solito alle
fonti monumentali che si andavan costruendo alla metà del Cinquecento,
era stato affrontato dal giovane ma già ferratissimo scultore nel concorso
per l'analoga fontana di piazza della Signoria a Firenze, poi affidata a Bartolomeo
Ammannati. E in effetti il bronzetto bolognese, di poco successivo, sembra riepilogare
il complesso itinerario mentale del Giambologna, pervenuto a Firenze dalla nativa
Douai intorno al 1560 e presto capace di rapportarsi alla tradizione recente
della scultura fiorentina con piena autonomia di giudizio. Qui è rilevante
il personalissimo richiamo al Mosè di Michelangelo, di cui il volto barbuto
ripete la concentrazione e la forte tensione morale in modo impressivo, e più
aperto alla sollecitazione della luce; e la positura del corpo, pure atteggiato
in un studiato contrapposto, secondo i canoni della cultura manieristica, conserva
nondimeno un'insolita naturalezza che sembra presupporre la conoscenza dei veneti
e di Alessandro Vittoria in particolare.
Tale carattere apparve anche più evidente, quando la statua monumentale
fu inaugurato nel gennaio del 1567. Il Gigante sembrò assai più
stabilmente strutturato del bozzetto.