IL MEDIOEVO


LA PRIMA ETA' COMUNALE (secolo XII)

Il secolo XII, periodo in cui nacque l'istituzione comunale, e' comunemente ricordato come un'epoca di espansione e rinascita in tutti i campi: in quello politico, accanto ai primi sintomi di decadenza, almeno in Italia, dell'ordinamento feudale, si as siste al nascere dei comuni, non solo nelle citta', ma anche nei centri minori, rurali; in campo economico si registra un processo inequivocabile, anche se non precisamente quantificabile, di crescita demografica, che si lega in un rapporto di interdipend enza con la cosiddetta "rivoluzione agraria" e con i relativi processi di diboscamento e messa a coltura di vaste aree, senza parlare dell'incremento dei traffici e dell'aumento della circolazione monetaria; I'insediamento si stende sul territorio con una trama a maglie piu' fitte che in precedenza, presentando numerosi centri fortificati e nuclei abitativi (impossibile dire di quale consistenza) presumibilmente aperti, mentre si delineano distretti civili ricalcanti grosso modo le "curtes" alto-medievali ; in campo ecclesiastico, infine, si assiste al moltiplicarsi delle chiese.

La documentazione scritta riflette questa nuova situazione, presentandosi con una ricchezza prima d'allora inusitata.

L'organizzazione civile ed ecclesiastica in rapporto agli insediamenti

Che per il secolo XII si possa parlare di una societa' di transizione, come abbiamo gia' notato, si rileva, per la zona intorno a Ozzano, da alcuni elementi significativi: la frequente menzione del conte di Bologna, Ubaldo, nelle carte riguardanti il t erritorio ozzanese e il ricordo della soggezione feudale in un documento risalente forse al 1103 o all'anno seguente dimostrano che la zona era ancora, come del resto altre vicine, inquadrata nell'ordinamento feudale, anche se non troviamo mai, nelle cart e superstiti, la menzione di alcun personaggio tanto influente da poter essere identificato come un signore locale, ne' sembra che vi possedessero beni forti famiglie alloctone, come invece e' documentato per gli Ubaldini del Mugello nell'alta valle dell' Idice.

Al contrario, appare essere investito di potere e autorita' feudale l'abate Bononio del monastero bolognese di S. Stefano, il quale, all'inizio del secolo, rinnova una concessione in feudo di terre, sia nella "curte Ulziani", sia della meta' della "cur te qui vocatur Elerario". I concessionari che compaiono nel rovinatissimo "breve", documento fatto eseguire dall'abate stesso come promemoria, infine, "fidelitatem iuraverunt prenominato abbati et ecclesie S. Stefani", cioe' giurarono fedelta' all'abate e alla chiesa che da lui dipendeva e che pare essere la stessa in cui e' redatto il documento, I"'ecclesia S. Stephani in Claterna".

L'istituto del feudo e' testimoniato anche nel 1140, quando il vescovo di Bologna, Gerardo, conferma alla chiesa di S. Cristina di Pastino e alla sua badessa Lucia tutto quello che il monastero aveva acquisito e concede "ex novo" tutto quello che "habu it et tenuit Ugo de Alberto in feudum a comite Ubaldo", cioe' le terre tenute dal detto Ugo di Alberto in beneficio feudale dal conte di Bologna, Ubaldo.

Il ritardo con cui si instauro' a Bologna una dinastia comitale, generalmente riconosciuto, spiega forse il persistere nel secolo XII di una carica mai documentata in quelli precedenti all'XI, quando, invece, generalmente, nel resto dell'Italia settent rionale conquistata dai Franchi tale carica era presente.

Nel 1154, inoltre, lo stesso vescovo confermo' al medesimo monastero i beni donati dal conte Ubaldo e dalla moglie Giulitta, nonche' dalla contessa Beatrice (non piu' precisamente indicata), segno, ancora una volta, della considerazione in cui tale ent e ecclesiastico era tenuto e della sua forte posizione economica, che gli permetteva, non solo di ricevere tali donazioni, ma anche di vedersele confermare e riconoscere ufficialmente.

Se l'istituto feudale appare presente nella zona, non e' cosi' per la nuova istituzione del Comune: non troviamo infatti mai la menzione dell'esistenza di comuni rurali e delle loro magistrature, forse proprio per la forte e capillare presenza di enti ecclesiastici locali o cittadini come proprietari fondiari, a scapito di quel ceto della media nobilta' che gioco' un ruolo importante nella formazione dei Comuni cittadini.

Alle istituzioni religiose erano affidate alcune importanti funzioni pubbliche, come la manutenzione dei ponti: nella zona che ci interessa, il ponte sul torrente Quaderna e' fatto oggetto, durante tutto il secolo XII, piu' precisamente nel 1168, 1189 e 1199, di svariate donazioni testamentarie per la sua manutenzione, affidata, presumibilmente, all'ospizio di S Stefano, che vi sorgeva nei pressi, e che dalla pieta' dei privati cittadini traeva un aiuto per la sua opera di assistenza e di soccorso dei viaggiatori. Tale consuetudine e' del resto piu' esplicitamente confermata da un documento del 1121, con il quale varie persone concedono all"'ospicio S Stefani qui vocatur in Claterna" vari terreni per sostenerlo nella sua opera di manutenzione e riparaz ione del ponte.

L'ospizio, poi, si appoggiava all'omonima chiesa e alla pieve: tale complesso doveva quindi contare non pochi ecclesiastici e altro personale Esso aveva, come rappresentante nelle transazioni, un certo Ildebrando "filius Rolandi de Adolino", che negli anni 1122-1123 riceve per conto dell'ospizio svariate donazioni di terre ed e' detto essere "abitator et serviens in ospitalem" suddetto, anche se non pare essere di condizione ecclesiastica, mancando una qualunque qualifica che lo distingua da un laico P arrebbe, inoltre, che costui avesse fatto ampie donazioni nel 1105 all'ospizio, insieme al fratello Rolando, se l"'Ildebrandus quondam Rolandi de Addino" che in questo anno dona i suoi beni nelle corti di Prunaro, "Trexenta", Ozzano e Settefonti e' lo ste sso che anni dopo regge e amministra il medesimo ospizio; pratica non infrequente fra nobili e contadini, questa di donare i propri beni ad un ente ecclesiastico, per potervi entrare come conversi o per ricerverli nuovamente, accresciuti, in affitto.

Nel 1153 Ildebrando era ancora "custodem hospitalis S Stephani de Quaterna" e perse una causa intentata all'abate di S. Stefano Guiberto causa nella quale presenzio' come testimone "domnus Guibertus de S.Stephano in Quaterna" che, stando alla sua quali fica di "dominus", apparteneva ad un ceto di rilevanza sociale.

Anche la pieve di S.Giovanni di Pastino, o "in Toraciano", appare spesso citata nei documenti di questo secolo, ma sempre come circoscrizione di appartenenza di un terreno negoziato e mai come proprietaria di beni.

Il monastero di S.Cristina, al contrario, appare sempre piu' ricco e potente, contando nel 1154 fra i numerosi possessi fondiari confermati anche un mulino "in alveo Yllicis", nel luogo, ora scomparso, detto "Terra Pozolese" e, nel 1199, una parte del mulino di Ciagnano, vendutagli da un tal "Balditione filius Zacarie Clagnani".Il possesso della chiesa di S Andrea "in Basiliano" viene conteso al monastero, per un certo periodo, intorno al 1197, dal monastero di S.Michele di Castel de' Britti, che, se n el 1156 gliel'aveva donata in cambio della corresponsione annuale di una tovaglia di 5 braccia, alla fine del secolo ne conferma il pieno possesso, ma stavolta in cambio della donazione di una chiesa, quella di S.Giovanni "de Fontana", nella "curia" di Me dicina.

Un'altra importante abbazia e' documentata nella zona, quella di S. Maria di Monte Armato, che appare rivestire una certa influenza gia' nel 1129, quando il suo abate Giovanni si accorda con Guido abate di S.Stefano per godere ognuno di meta' della chi esa "S Johannis de Valle de Lambro" L'abate Rainerio di S.Maria ottiene, invece, negli anni 1161-1162 il controllo dell"'hospitalem S. Georgii" con tutti i suoi possessi dai canonici di S.Cassiano di Imola e nel 1174 l'abate Ugo ottiene dagli stessi canon ici e dal vescovo Enrico l"'hospitale Solustrae": al di la' della precisa identificazione di tali ospizi e chiese (quello di S.Giorgio poteva essere l'omonimo di Varignana, mentre quello di "Solustra" doveva sorgere in val Sellustra), i documenti mostrano una precisa volonta' espansionistica del monastero di Monte Armato, che per tale via diventera' nel corso del '300 una delle istituzioni ecclesiastiche piu' importanti della valle dell'Idice e di quelle vicine.

Continuando quel processo di moltiplicazione delle chiese che portera' nei secoli seguenti alla presenza capillare anche nelle piu' piccole borgate, verso la fine del 1100, nel 1180, vediamo comparire una chiesa, S Donato, anche a Ciagnano, che era una "curtis", ricordato in precedenza con il solo nome di "locus qui vocatur Clagnano", ma che si avvia ora a diventare una abitato aperto fra i piu' importanti della zona.

In relazione con il castello di Ozzano e' invece la chiesa definita nel 1117 "S Petri Ulzianensis" Va notato che, mentre nel secolo XII il villaggio e' detto "Ulzianum", a partire all'incirca dal secolo scorso il vecchio paese arroccato sulle colline, per distinguerlo dai nuovi insediamenti contigui alla via Emilia, si chiama S Pietro d'Ozzano, fino ai giorni nostri, quando ormai e' completa la dicotomia fra l'antico nucleo e il nuovo.

A Ozzano si verifica quella coincidenza fra centro abitato fortificato e luogo dove sorge una chiesa parrocchiale, che il Settia riscontra solo in pochi casi nella collina torinese. A Ozzano, gia' all'inizio del 1100, coesistono dentro alle stesse mura la chiesa di S Pietro e l'abitato; ma non c'e' traccia di una dimora signorile e quindi di un'origine gentilizia del castello, a meno che la perdita di tanti documenti non ce ne nasconda, forse per sempre, l'esistenza.

Tale localita', poi, pare essere la principale della zona: gia' nel 1103 e' ricordata la "curtis Ulziani" e nel 1118 l"'Ulzianensis castrum". Vediamo dunque un tipico esempio di insediamento fortificato, un "castrum", dotato di un territorio e di una c hiesa per le necessita' spirituali della popolazione, che doveva essere socialmente ben differenziata se vi troviamo un "tabellius", "Petrus Ramfredi", attivo dal 1154 al 1199, e un "notarius", "Johannes", attivo nel 1156, entrambi pubblici funzionari che redigono documenti di compravendita, cessioni, donazioni e altri atti privati Ozzano, dunque, doveva essere un nucleo abitato dotato di una notevole vita civile, centro di una "curtis" o "curia", erede dell'antica corte che aveva soprattutto una connotaz ione fondiaria ed ora assume una prevalente funzione giurisdizionale.

Cosi' sono centro di "curie", nel secolo XII, anche Ciagnano e "Claterna"; mentre Massarapi viene ricordata sia con il nome di "curtis qui vocatur Elerario" nel 1103 sia come "massa qui vocatur Lelario" nel 1109. Esiste, inoltre, nel 1123 una "curtis S.Christine", dove viene rogata un atto di enfiteusi di terre, ma in questo caso si intende forse indicare la corte, in senso fondiario, appartenente al monastero, che sorgeva su d essa, perche' non ne ritroviamo altra traccia ed il luogo dove sorgeva il monastero non pare essere mai stato un centro insediativo di particolare consistenza.

Per Settefonti abbiamo notizia nel XII secolo dell'esistenza della "curtis" omonima, che comprende e definisce la posizione di localita' minori fatte oggetto di transazioni economiche; risultano possedervi beni l'ospizio di S Stefano nel 1105 e sopratt utto il monastero di S Cristina nel 1140, 1149, 1154. Nel 1180 viene ricordato il "castrum Septemfunti" come luogo di reda zione di un atto di vendita rogato da "Petrus Ram fredi tabellio de Ulziano" in favore di Maria, ba dessa di S.Cristina. Non ci rest ano altre notizie del castello in quest'epoca, ma dal documento ricaviamo almeno che vi si recava il "tabellius" di Ozzano, a richiesta, per rogare atti privati.

Anche per la "curia de Monterligo" ricordata ne] 1154 e 1189 come uno dei distretti in cui si trovano i beni del monastero di S. Cristina, ad esso confermati dal vescovo bolognese Gerardo, pare che non valga l'ipotesi secondo la quale le "curie" erano generalmente i territori dipendenti da centri di popolamento, dato che in questa localita' non sembra essere mai esistito, neppure nei secoli seguenti, un nucleo demico di una qualche consistenza. Si puo' quindi pensare ad una pura circoscrizione geografi ca, anche considerando che Monte Arligo nel '300 risulta appartenere alle "curie" di Ozzano e di Ciagnano.

Di Monte Armato non si ricorda esplicitamente l'esistenza e la tipologia come centro abitato, ma la presenza come testimone in un atto di donazione del 1109 di un tal "Petrus legis doctor de monte Armati" precisa l'esistenza della localita' e dell'abit ato e insieme apre uno squarcio su un'importantissima istituzione di eta' comunale lo Studio bolognese con i suoi "doctores", i giuristi che fecero rinascere il corpo legislativo romano in opposizione alla legge longobarda o comunque germanica, a cui anco ra si ispirava largamente la legislazione. La presenza di dottori fu insieme un valido appoggio alla nascita e all'affermazione del Comune, sempre in lotta, si puo' dire per motivi istituzionali, ideologici e giuridici, con l'autorita' imperiale, ma anche una forza che tese a frenare, per gli stessi motivi, la prepotenza comunale, in un'alternanza di posizioni tendenti a far mantenere alla classe dottorale la sua autonomia di fronte alle opposte fazioni.

L'economia

Nel grande movimento espansivo che si verifico' nel secolo XII, gia' preannunziato nel periodo precedente, all'incirca dal 1000 in poi, si inquadra anche il mutamento e lo sviluppo dell'economia, che passo' da una struttura relativamente chiusa, basata piu' sulla coltivazione statica della proprieta' fondiaria che sugli scambi e sulla mobilita' dei possessi e della manodopera, ad un'economia di mercato, in cui il denaro veniva sempre piu' frequentemente usato nei rapporti economici, in cui gli inurbame nti massicci di contadini crearono per la prima volta in citta' notevoli presenze di artigiani, in cui nelle campagne si moltiplicarono i concessionari di fondi non coltivatori, che gravavano con le loro pretese sui contadini.

L'aumento di popolazione e l'esodo di molti coloni al di fuori del loro fondo, ormai insufficiente, verso le vaste aree incolte che costituivano buona parte della corte e insieme la circondavano, determino' poi l'avvio delle grandi opere di bonifica e di dissodamento che portarono al calo d'importanza dell'economia silvo-pastorale Pare inoltre che il decollo demografico, favorito da condizioni di vita relativamente piu' favorevoli del passato, sia stato in buona parte determinato anche dalle modificazi oni dello stato giuridico dei contadini: questo, infatti, tese a livellarsi verso una condizione di servaggio, sia per gli schiavi, ora generalmente dotati di un fondo e di un'abitazione, cioe' "casati", sia per i coloni liberi, sottoposti a usi e consuet udini che mal si accordavano con una condizione di piena liberta'.

In tale processo di espansione delle coltivazioni a scapito dell'incolto si ridussero e in qualche caso vennero meno anche i possessi comuni dei villaggi, riservati fino ad allora, infatti, al pascolo e alla raccolta di legna e frutti spontanei.

Anche la corte, in quanto organizzazione fondiaria, viene scomparendo a causa del frantumarsi del dominico in fondi dati in affitto, sempre piu' sfruttati per la coltivazione e sempre meno ricoperti da boschi od occupati da vaste estensioni incolte e p aludose.

Il secolare processo di alienazione e parcellizzazione dei vastissimi possessi del demanio regio, degli enti ecclesiastici e delle dinastie feudali aveva portato alla creazione di un gran numero di concessionari, molti dei quali non coltivatori; si all unga in tal modo sempre piu' la catena feudale e se ne allentano, di conseguenza, le maglie, cosicche' questi affittuari non coltivatori, sentendo lontani e disinteressati i grandi proprietari terrieri e sempre piu' di loro proprieta', al contrario, i fon di loro concessi, tesero a sostituirsi, come utilisti, ai detentori del dominio reale nelle imposizioni ai coltivatori e vennero a creare una classe media ben agguerrita nel difendere i diritti acquisiti.

Pare che la maggior parte dei contratti di affitto del secolo XII riguardanti il territorio bolognese non siano stati stipulati con coltivatori, stante la mancanza di qualunque accenno a precisi lavori da farsi sul fondo per migliorarlo e accrescerne i l valore: in quest'ultimo caso i patti erano forse solo orali, stipulati fra i concessionari dotati di un contratto scritto e i lavoratori a cui essi subaffittavano le terre. Di qui l'impressione di pesanti richieste nei confronti dei coltivatori ad opera di tale classe intermedia, ben piu' rapace e attenta dei vecchi, spesso lontani, proprietari terrieri dei secoli precedenti, che nell'affittare ai contadini richiedevano si' certe prestazioni, come "operae" e donativi in natura o in denaro, ma non verifi cavano altrettantoi fiscalmente le rendite del podere.

Un'altra conseguenza della crescita demografica e della mutata situazione sociale fu il vasto e capillare mutamento delle destinazioni agrarie dei terreni: anziche' sfruttare le estensioni incolte solo come serbatoio di caccia, pesca, raccolta di frutt i spontanei e invece di coltivare le terre piu' vicine alla casa colonica e piu' favorite dal punto di vista agronomico, si inizia a dissodare, prima la sterpaglia e poi anche i boschi, per far fronte sia all'accresciuto numero delle bocche da nutrire, si a all'appesantimento dei canoni da corrispondere.

Si fa, cosi', posto ai cereali e alla vite, a scapito di boschi e acquitrini e degli altri tipi di incolto, trasformando in tal modo il paesaggio agrario, oltre che la struttura economica, che lascia sempre piu' spazio agli scambi, nei mercati cittadi ni e rurali, di granaglie, necessarie a nutrire la crescente popolazione cittadina, ormai non tanto produttrice quanto soprattutto trasformatrice di materie prime.

Tale tendenza all'agrarizzazione del suolo si riscontra anche nella zona circostante Ozzano, Ciagnano, Settefonti e Monte Armato: un conteggio dei terreni oggetto di transazioni economiche in questo secolo fornisce dati molto chiari: le terre dichiarat e "aratorie", vale a dire da destinarsi a cereali, sono 23 "pecie", appezzamenti; i terreni vignati sono solo 2, e 3 quelli arabili e vignati; mentre compare solo un terreno definito arabile e boschivo, cioe' in parte lavorato e in parte lasciato a bosco non precisato.

Anche la posizione di alta pianura, abitata e colonizzata gia' da secoli, certamente anche prima dell'occupazione romana, favori' nella zona la precoce scomparsa di foreste e terre incolte e lo sviluppo dell'agricoltura, aiutata anche dal generalmente buono scolo delle acque superficiali che non creava quasi mai ristagni come nella bassa pianura.

I vigneti si trovavano "in loco qui dicitur Finale", compreso nella "plebe S. Johannis de Pastino", attestati nel 1170, e "in loco qui dicitur Torragano", situato "in plebe S Johannis de Pastino et in curte Clagnani", nel 1189; entrambi i documenti son o atti di enfiteusi concessi dal monastero di S.Cristina a persone presumibilmente della zona. Terreni aratori e vignati insieme sono attestati come possessi dello stesso ente ecclesiastico nel 1117, 1123 e 1163, e sono situati, rispettivamente, nel "loco qui vocatur Offagnano", in confine con altre terre di S.Cristina e di S Pietro di Ozzano, il primo possesso, "in fundo et loco ubi dicitur S. Leone" (l'attuale S.Leo) sul fiume Idice, il secondo e "in loco qui dicitur Bassiliano", compreso nella pieve di Pastino e nella "curia Ulziani", il terzo.

Come si vede, tutti questi terreni erano posti nelle vicinanze del monastero, ma sparsi nel raggio di diversi chilometri, dal fondovalle Idice al crinale fra Idice e Quaderna, in quella collina calancosa abbastanza favorevole alla crescita della vite. Le terre coltivate solo a cereali, invece, sono in parte in mano all'abbazia di S.Stefano di Bologna e alla chiesa e ospizio omonimi nella zona, ma solo all'inizio del secolo, fino al 1134; dalla meta' del secolo in poi le carte ricordano solo terreni ara bili in mano al monastero di S.Cristina.

Tale ente pare dunque che vada sempre piu' assumendo in questo periodo un ruolo fondamentale nell'economia della zona: riceve numerose donazioni di terre, altre le acquista, spesso concede in enfiteusi le sue "pecie terre", piccoli appezzamenti coltiva ti o pronti per la coltivazione; ma la sua attivita' economica non si limita a questo: il monastero riceve verso la fine del secolo, nel 1180 e 1189, per due volte il diritto di uso delle acque nella corte di Ciagnano "usque ad midium flumine" (l'Idice, c on tutta probabilita') e nel luogo "Terra Rossa", pure compreso nella stessa corte, ma affacciato sul corso del torrente Quaderna. Il controllo delle acque dei fiumi, anche se non navigabili, come l'Idice, sottintende tuttavia una posizione di dominio, fo rse anche in relazione al loro sfruttamento economico tramite i mulini.

E infatti il monastero si assicura gia' prima del 1154 un "molendinum in alveo Yllicis ubi dicitur Terra Pozolese", che in tale data gli viene confermato dal vescovo di Bologna, Gerardo, e nel 1199 riceve in vendita, come abbiamo visto, da "Balditione filius Zacarie Clagnani" tutta la sua "porcionem in molendino Clagnani et in capitalia fluvium usque ad medium fluvium" Per quanto riguarda il cosiddetto mulino di Ciagnano, sappiamo dunque che le monache lo avevano comprato da uno dei comproprietari, i " consortes", ed infatti costui ne cede solo una parte, quella che gli spetta; comunque l'ingresso di un ente ecclesiastico in un consorzio di proprietari annuncia gia' il futuro frantumarsi di tale proprieta' indivisa ed il suo privatizzarsi La gestione di retta del mulino era poi affidata ad un mugnaio, forse affittuario.

Il monastero si assicura, in tal modo, progressivamente, il controllo dei proventi economici della molitura dei cereali nelle zone adiacenti a Ciagnano e gravitanti economicamente sulla valle dell'Idice e allarga la sua influenza anche sui territori de lla val Quaderna, certamente meno importante dell'altra, ma facente pur sempre parte della vasta zona controllata economicamente dal monastero, che comprendeva anche numerosi territori di pianura.

Oltre a tali possessi, ricevuti in dono o acquistati, il monastero nel corso di questo secolo si e' anche accaparrato diritti pievani sulle zone vicine; facolta' di riscossione di decime, diritti di battesimo e sepoltura, che gli vengono confermati nel 1177 dal pontefice Alessandro III. La confinazione dei possessi del monastero ci mostra, inoltre, una tendenza foriera di una nuova strutturazione della proprieta' nelle campagne: spesso notiamo come le terre comprate, ricevute in dono o affittate dalle monache confinino con altri possessi del monastero. Tale tendenza all'accorpamento dei terreni di un unico proprietario nasce per frenare l'eccessiva parcellazione dei fondi creata dal dissolversi dell'azienda curtense: con una oculata e previdente strate gia fondiaria, i piu' dinamici enti ecclesiastici cercano di acquisire terreni vicini gli uni agli altri, formanti unita' fondiarie il piu' possibile compatte, anche se poi esse vengono frazionate fra diversi fruitori.

Si precisa e si arricchisce, dunque, la visione complessiva che le carte private superstiti ci forniscono del territorio che oggi fa capo ad Ozzano.

Esso nel secolo XII risulta suddiviso fra alcuni grandi proprietari terrieri, le chiese, e molti proprietari privati; era ripartito fra le quattro "curie", che ritroveremo anche nell'epoca seguente il permanere di residui dell'ordinamento feudale ne fr ammentava le giurisdizioni pubbliche e divideva gli uomini fra diversi signori.

Alle soglie della matura eta' dei Comuni, la zona circostante il castello di Ozzano, dalla via Emilia alle prime colline appenniniche, pare ancora singolarmente arretrata rispetto ad altre, piu' precoci nel liberarsi dalla struttura feudale e nell'imbo ccare la via delle libere comunita' di villaggio o di castello.