Con questa ricerca ci proponiamo, sulla base di documenti editi ed inediti, di studiare le forme della vita civile e politica, l'organizzazione delle strutture ecclesiastiche, le forme insediative e i meccanismi del popolamento ed infine i fatti econom ici, cercando di ricostruire un quadro il piu' possibile unitario e coerente dello sviluppo storico del territorio che attualmente fa capo ad Ozzano dell'Emilia durante il medioevo, dal primo comparire di questa zona nei documenti, all'incirca alla fine d el secolo X, fino a tutto il XIV secolo, quando la nascita delle Signorie modifica sostanzialmente l'evoluzione storica italiana e prelude al trapasso nella cosiddetta eta' moderna.
Le fonti storiche relative ai secoli che vedono le massicce migrazioni di popoli nord-orientali in Italia ed il loro successivo stanziarsi nelle nostre regioni, sono, per non poche zone, scarse e lasciano ampie lacune, che ci impediscono anche solo di intravvedere la trama delle vicende e delle strutture; cosi' e' per il territorio compreso oggi nella giurisdizione amministrativa di Ozzano, che appare ricordato solo a partire dal secolo XI.
Possiamo ugualmente tentare di immaginare quale fosse il suo ordinamento politico-territoriale e sociale, come fosse organizzata la sua economia e dove gli uomini avessero stabilito le loro dimore e fondato le loro chiese, attraverso l'esame di altre z one piu' ricche di notizie di questo genere e paragonabili alla nostra.
Situato com'era, il territorio ozzanese, ad est di Bologna, dovette risentire in maniera abbastanza tardiva e marginale dell'invasione longobarda, la piu' grave, duratura e foriera di fondamentali cambiamenti fra quelle che interessarono l'Italia nei p rimi secoli alto-medievali. Infatti, solo 156 anni dopo la presa di Pavia e 84 dopo la fissazione del confine fra territori bizantini e longobardi al fiume Scoltenna (l'attuale Panaro), Bologna entro' a far parte del regno longobardo e vi rimase inglobata solamente per altri 50 anni circa, vale a dire a partire dal 727, quando l'offensiva portata dal re Liutprando, giunta inizialmente fino a Ravenna, si fisso' poi definitivamente sul fiume Senio.
Le regioni piu' orientali del bolognese furono quindi toccate solo superficialmente dalla onomastica e toponomastica germanica, dalle nuove forme curtensi di sfruttamento agrario, dall'ordinamento sociale e politico portato dai Longobardi e rimasero ce rtamente piu' delle zone occidentali del territorio (per non parlare dell'Emilia occidentale o della Toscana o dell'Italia settentrionale occupate ben prima e per ben piu' lungo tempo dai popolo longobardo) legate alla civilta' bizantina.
Ricordiamo che il "limes" difensivo bizantino passava probabilmente anche per il castello di S. Pietro di Ozzano e per le vicine Castel de' Britti, Pizzocalvo, Croara, Varignana e Casalecchio dei Conti, mentre risaliva verso nord lungo il Panaro, una l inea per circa 80 anni accanitamente difesa dai Bizantini e altrettanto accanitamente attaccata dai Longobardi che gia' occupavano l'Emilia occidentale fino alle porte di Bologna.
Rimasero, quindi, nel territorio di Ozzano, con buona probabilita' quasi invariate le strutture amministrative, economiche e sociali tardo-romane e ad esse non si sostituirono, se non in alcuni casi, le nuove. Cosi', ancora verso la meta' dell'XI secol o, troviamo ricordata in alcune occasioni la "massa", struttura fondiaria di matrice latifondistica romana: una, nel 1048, e' la "massa Ellerario", l'odierna Massarapi, nella pianura verso Prunaro e Budrio, citata nuovamente nel 1057 e nel 1088; l'altra e ' la "massa Basiliano", vale a dire il luogo dove sorgeva la chiesa di S. Andrea, tuttora esistente, ricordata nel 1077.
L'antica unita' fondiaria si veniva, tuttavia, spezzando in questo secolo e trasformando in una costellazione di fondi piu' piccoli, dove cominciavano a sorgere le case coloniche, contrassegnati da microtoponimi: dalla "massa Elerario" si ritaglia il l uogo "qui vocatur Gazolus", nel quale si trova un terreno ricoperto da boscaglia, che due fratelli, Aimerico detto Signorello e Gerardo, concedono nel 1088 all'abate del monastero bolognese di S.Stefano.
Una trasformazione radicale sta subendo nello stesso periodo la corte d'epoca longobarda e poi franca nei territori, anche vicini al nostro, nei quali essa e' documentata: la originale unitarieta' del centro domocoltile, fatto coltivare per suo esclusi vo profitto dal signore ai servi o tramite il lavoro obbligatorio dei coloni liberi, legato, dunque, ai "mansi", gia' affidati ai coloni perche' li coltivassero e valorizzassero, si dissolve, lasciando il posto a poderi contadini svincolati dal centro sig norile, spesso venuto restringendosi o scomparso, lottizzato e affittato pure esso a lavoratori liberi che pagano al signore della terra un canone in prodotti agricoli e a volte anche in denaro. Scompaiono, quindi, le "corvees" o "operae", le giornate di lavoro obbligatorio, che restano in genere solo sotto forma di prestazioni artigianali (obbligo di fornire manufatti di lana, cuoio o ferro a seconda delle zone e delle attitudini personali).
Il potere, prima esercitato sulla terra e sugli uomini, si regge ormai soprattutto grazie ai canoni che questi versano al loro signore per la sua protezione e come affitto del terreno.
Erano venuti infatti a crearsi, gia' dal IX-X secolo, anche in coincidenza con l'indebolirsi dell'autorita' regia, forti nuclei di potere signorile, che controllavano, grazie al possesso fondiario e al conseguente potere sugli uomini, vaste zone, intre cciandosi spesso con il potere legato alle cariche pubbliche di carattere giurisdizionale.
Naturalmente ai possessi allodiali della famiglia si affiancavano le terre ricevute in beneficio dai re o da loro funzionari, in teoria sottraibili al vassallo, in realta' spesso inglobate nei territori controllati dalla famiglia stessa.
Le funzioni di amministrazione della giustizia esplicate dal signore del luogo si affiancavano poi, ad un'attivita' notarile, caratteristica, appunto, dei centri maggiori: dalla fine del secolo XI compare un "tabellio Martinus" che roga dal castello di Ozzano (si definisce, infatti, "Ulzianensi castro") un atto di donazione compiuto nel 1099 da un tal Sighizo del fu Brisio in favore del monastero di S. Cristina di Pastino.
La menzione di un "castrum Ulzianense", cioe' di Ozzano, testimonia un insediamento fortificato; tuttavia non si tratta di una struttura puramente militare, se in essa opera un funzionario pubblico (il nostro notaio), ne' di una pura e semplice dimora signorile, per lo stesso motivo; si deve, invece, pensare ad un centro difeso da opere murarie o, forse, ancora lignee, sorto magari come difesa dalle sanguinose incursioni ungare del secolo precedente, e poi rimasto per la sua felice situazione e divenut o polo di aggregazione. Oppure si puo' pensare al persistere "in loco", sotto forme ovviamente diverse, dell'antica fortificazione bizantina di cui abbiamo fatto cenno sopra.
Il territorio di Ozzano pare controllato in gran parte da enti ecclesiastici: piu' di tutti dal monastero bolognese di S.Stefano, che, oltre a possedere numerosi terreni sia nella pianura a nord della via Emilia, sia sulle colline immediatamente a sud di essa, aveva ottenuto da Giovanni, vescovo di Bologna, gia' alla fine del X o all'inizio dell'XI secolo, la chiesa e pieve di S.Stefano "que dicitur in Claterna", con tutti i tradizionali diritti di battesimo, decime, "primiciis" e di sepoltura, oltre a i possessi fondiari.
Come noto, spesso coincidevano nelle mani di un unico signore, laico od ecclesiastico, i diritti fondiari legati al possesso di terreni e la giurisdizione che gli spettava sul territorio per diritto feudale: venivano in tal modo spesso a confondersi le prestazioni di carattere pubblico e quelle che il signore esigeva, in quanto proprietario terriero, dai suoi coloni.
Veniamo cosi' a considerare l'ordinamento ecclesiastico della zona: essa, mostrando precocemente la sua sostanziale frammentarieta', si presenta divisa fra tre circoscrizioni ecclesiastiche pievane, quella gia' ricordata di S. Stefano "in Claterna" e q uella di S.Giovanni "in Toraciano", mentre parte della pianura era sottoposta alla pieve dei SS. Gervasio e Protasio di Budrio.
La prima di queste pievi, pur decaduta fino alla dipendenza dal potente monastero cittadino, comprendeva le zone prospicienti la via Emilia nei pressi di Maggio e dell'incrocio della strada con il torrente Quaderna, zona corrispondente pressappoco all' area urbana di "Claterna" romana con qualche chilometro attorno; la seconda, oggi ricordata dall'oratorio situato sul monte Pieve nel luogo ancora definito Pieve di Pastino, comprendeva la parte collinare del territorio considerato. La terza, ubicata in u na zona assai lontana. si estendeva tuttavia fino a comprendere la "massa Ellerario".
La distrettuazione plebana comprendeva, poi, nel suo interno, altre chiese, minori, spesso private o dipendenti da altre maggiori; per questa epoca vengono ricordate l"'ecclesia S. Marie qui vocatur in massa Elerario", che potrebbe identificarsi con S. Maria della Quaderna, e la chiesa "S. Andree" che sorgeva presso la pieve di S. Giovanni e presso la "massa Basiliano", gia' ricordata, ed era retta dal prete Alberto nel 1077.
Oltre a tali enti, troviamo ricordata nel 1097 la chiesa di S.Cristina "positam in loco de Septifonte, ubi dicitur Pastinum", che viene donata dai fratelli Agerardo e Guido al priore camaldolese Martino e a Cuniza, badessa di S. Pietro in Luco insieme a vari beni fondiari posti nelle vicinanze. Solo due anni dopo, nel 1099, compare il monastero femminile di S. Cristina, che riceve due donazioni di terreni, tutti situati nella pieve di S. Giovanni in "Toracciano", o "Toriciano".
L'abitudine, poi, di definire la posizione dei luoghi tramite l'appartenenza all'uno o all'altro territorio pievano, e non ad una circoscrizione civile, ci riporta alle considerazioni iniziali sulla lontananza della nostra zona dagli influssi politico istituzionali longobardi prima e poi franchi. Mai infatti, viene ricordato un pubblico funzionario, come il duca, il gastaldo o lo sculdascio longobardi o il conte franco, o la loro rispettiva circoscrizione: unicamente l'appartenenza ad una pieve o ad un 'altra indica la posizione di un fondo.
E' opportuno, inoltre, accennare al ruolo centrale svolto dai monasteri nell'economia alto-medievale: fatti spesso oggetto di cospicue donazioni di terreni, essi vennero sempre piu' arricchendosi e acquistando diritti signorili sui territori che contro llavano economicamente. Spesso, nell'Italia settentrionale, fra i piu' grandi possessori di "curtes", compaiono enti monastici che, a partire dall'VIII secolo circa, beneficiano dell'usanza di fare ampie donazioni a chiese e monasteri per assicurare a se stessi o a parenti defunti la salvezza eterna. Anche il cenobio femminile di S. Cristina raggiungera' nel secolo XII un'ampia ricchezza fondiaria nella zona.
Abbiamo gia' parlato della "massa" e del suo frazionamento in "loci qui vocantur": vediamo ora di ritrovare altri esempi di "loci", i luoghi definiti da un microtoponimo, a volte neppure indicativi di sedi di un'abitazione contadina, ma solo di campi c oltivati o ricordo di antichi insedia menti abbandonati. Tale sembra essere il "locus qui vocatur Claterna" del 1089, dove Guinizo, abate del monastero di S. Stefano, concede in enfiteusi ai coniugi Martino e Berta alcuni terreni.
I luoghi detti "Clagnano", "Lerari", "Pasteno" e "Malito" non parevano neppur essi avere una fisionomia insediativa peculiare, non comparendovi costruzioni, se non Pastino, sede del monastero di S. Cristina; sono tutti accomunati del fatto che li ritro viamo in epoca successiva con piu' precisi connotati di centri abitati, con i nomi, rispettivamente, di Ciagnano, Massarapi, Pastino e Maleto, tutti ancora esistenti e vitali almeno prima dell'ultima guerra.
Testimoni, dunque, di uno sforzo colonizzatore, di conquista di aree incolte e spesso improduttive all'interno della stessa maggiore entita' fondiaria, ma dotate di una salda vocazione abitativa, che si manterra', come vedremo, a differenza del luogo d etto "Claterna" che, pur presentando nel secolo XII tracce di un abitato, e' solo un pallido resto dell'antica omonima citta'.
Una precisazione finale sul paesaggio agrario: lungi dal poterne tracciare un quadro sufficientemente chiaro, bisognera' limitarsi a dedurre dagli scarsi documenti superstiti brevi notazioni, che tratteggiano tendenze di fondo, da integrarsi con altri dati, magari forniti da reperti archeologici.
I testi ci riportano frequente la menzione di terre aratorie, cioe' coltivate o coltivabili a cereali, il che e' naturale, trattandosi di compravendite o donazioni: si commerciavano terreni produttivi, aventi un certo valore economico, e non le terre s terili o coperte di sterpaglie, che pure esistevano e furono le prime a interessare la grande opera di dissodamento e coltivazione che proprio nel secolo XI comincio' a trasformare il paesaggio agrario, non solo italiano, ma europeo. Le "silvae" e i "fras carii" erano considerati beni di notevole importanza, le prime per i frutti spontanei, il legname e la selvaggina che nutrivano, i secondi per il legname meno pregiato ma altrettanto utile per usi agricoli, soprattutto come sostegno per la vite.
Non volendo qui trattare specificamente l'argomento della diffusione e dell'importanza della viticoltura nell'economia e nel costume medievale, ci limiteremo a ripetere che i vigneti o i terreni con viti erano curati e difesi molto piu' degli altri cam pi e delle foreste, che pure erano una fondamentale fonte di reddito. La vite, infatti, era indispensabile e il vino un prodotto del quale non si poteva fare a meno, non solo per la tavola di rustici e signori, ma anche per il suo uso liturgico.
Troviamo dunque ricordate vigne nella gia' nota "massa Basiliano" del 1077, mentre nel 1085 il prete Giovanni "de castro Burzano" dona al monaco Gerardo, che accetta per conto dell'abate di S. Stefano, Guinizo, meta' dei suoi beni mobili e immobili e, si badi, si specifica, del vino delle sue vigne.
Se pur frammentario ed impreciso, tale dunque appare il quadro della zona in eta' feudale: caratterizzato dalla presenza di importanti istituzioni religiose, il suo territorio sembra ancora organizzato sostanzialmente secondo schemi insediativi ed econ omici fondati su solide premesse di tradizione tardo-antica.
La scarsita' di documenti non ci permette, purtroppo, un piu' realistico e preciso disegno, anche se non organico.