37 - Chiesa di S.Maria Assunta di Settefonti


L'origine di Settefonti, il cui toponimo composto trae la propria etimologia dalla presenza nella zona di sette sorgenti, e' ancora oggi alquanto misterioso. Da una trascrizione di padre Raffaele Gorrieri degli anni 1935, tratta dall'opera di R. Garagnani: "Il Passo della Badessa" (vicenda ambientata, a suo dire nel 1198), veniamo a conoscenza di come si presentava in quell'anno Settefonti. Dalla medesima opera apprendiamo inoltre una nuova, per cosi' dire, versione dei toponimi: Ozzano e Torracciano. Padre Gorrieri infatti, cita Ozzano come Ogiano e S. Giovanni in Torracciano, Torre di Giano. E' facile supporre che forse li vorrebbe mettere in relazione con l'antica divinita' pagana: Giano, rappresentato nella mitologia come un dio bifronte posto a protezione della casa; anche se poi a questo significato non allude. Sulle testimonianze archeologiche di Settefonti si puo' dire che nei diversi scavi effettuati sono stati segnalati ritrovamenti che vanno dal Neolitico (Ca' degli Olivi), al Villanoviano (ad esempio il sepolcreto scoperto nel 1865 dal conte Carlo Pepoli nel suo podere La Torre). Particolarmente interessanti invece le vestigie romane rinvenute alla Pieve di Pastino, (si ricorda in particolare una splendida stele funeraria), dove la stessa chiesa aveva una cripta. Sono inoltre stati scoperti ovunque, ed in particolare tra le macerie della distrutta chiesa di S. Maria Assunta (dove ancora oggi affiorano), grandi quantita' di mattoni manubriati che si vorrebbero recuperati dalle rovine della mitica Claterna. Se cosi' fosse, c'e' da arguire che per essere arrivati fin lassu' dalla via Emilia doveva esistere una strada carrabile ed in buono stato, e quale se non la leggendaria Flaminia Minor. Dai ritrovamenti ne consegue quindi, che nel luogo doveva abitare, quasi certamente, una popolazione stanziale. Altre notizie, dell'esistenza ed origine di un Castello di Settefonti, pare risalgano al 905: epoca del Regno Italico dell'imperatore BerengarioI, o comunque in anni successivi. Quando cioe' ebbero inizio, come in tantissimi altri territori, le costruzioni di castelli e monasteri. Purtroppo pero', prima dell'anno 1000 circa, la storia presenta molti "buchi" derivanti essenzialmente dalla mancanza di conventi entro i quali, poi, pazienti monaci iniziarono a scrivere le cronache del loro tempo. E cio' deve dirsi per Settefonti, dove frati camaldolesi dell'ordine di S. Romualdo degli Onesti, per sua volonta', vi eressero un monastero per le consorelle della loro compagnia. Il convento, attorno al quale s'incentro' poi fin dalla seconda meta' del secolo XI anche l'intera storia del territorio, fu intitolato a S. Cristina, da una chiesa preesistente di cui non si ha alcuna menzione storica. Si puo' percio' affermare che dopo Claterna, Settefonti sia tra i borghi ozzanesi piu' antichi. La piu' vecchia segnalazione su Settefonti, probabilmente rinvenuta nell'archivio camaldolese della "casa madre" di Arezzo, ci viene citata dal famoso cronista storico frate Serafino Calindri come risalente al 1097. L'atto, redatto dal notaio Gerardo, fu poi confermato da papa Pasquale II nel 1099, e da Alessandro III nel 1117. Lo storico tedesco Kenner, nella sua "Italia Pontificia", cita inoltre che il primo "privilegio pubblico di protezione" il monastero di Settefonti lo ebbe tra il 1099 e il 1118. Il Calindri poi, nel suo "Dizionario...¯", Vol. V pag. 145, riporta ancora su Settefonti un altro interessante e significativo documento, datato 1099, da cui si evince al tempo stesso anche l'aspetto territoriale. Sulla data certa di costruzione del monastero di S. Cristina, si trova conferma del 1097 anche nei carteggi sei/settecenteschi delle monache camaldolesi. Da quegli stessi documenti, si apprende inoltre che la prima Badessa fu Matilde, sotto l'anno 1099 (anno in cui termino' evidentemente la fabbricazione del Convento). Altra interessante menzione storica su Settefonti, e l'origine del suo antico castello, si ritrova nella celebre opera del 1935 di monsignor Cantagalli il quale cita la rocca di Settefonti come baluardo posto sul crinale appenninico a difesa della strada che dal monastero di S. Cristina (ma forse gia' da Bologna), conduceva in Val Mugello, dove si trovava, e dove si trova ancora, la sede dell'ordine Camaldolese. Da cio' si puo' dedurre che il castello di Settefonti esisteva, e che con ogni probabilita' doveva essere contemporaneo ai due monasteri; anche se poi in un certo anno fu distrutto. Sul "Castrum Septem Fontium" (Castello di Settefonti), lo storico-cronista cinquecentesco frate Cherubino Ghirardacci riferiva inoltre che: era cinto di imponenti mura; l'accesso avveniva solo attraverso un unico portale; costruito sopra l'estrema punta di una roccia posta su di un precipizio, per cui inespugnabile; e dotato di una rocca per l'avvistamento. Lo stesso luogo, praticamente, in cui oggi troviamo la distrutta chiesa di S. Maria Assunta. Segnalazione pressoche' identica si ritrova in altra fonte bibliografica la quale aggiunge solo che la chiesa era gia' edificata e che i dominatori del castello pare fossero discendenti di un ramo collaterale della casata di Matilde di Canossa. Alle soglie del XII secolo il convento di S. Cristina di Settefonti non solo aveva consolidato un notevole potere, ma gia' si dimostrava uno dei nuclei ecclesiastici piu' importanti dell'intero territorio ozzanese. La conferma si riscontra con le donazioni, del 1109, dei fratelli Manfredo, Ubaldo e Guido del castello di Bisano (che il Calindri li dice imparentati con Richilda prima moglie del marchese Bonifacio) i quali lasciarono alla chiesa di S. Cristina di Settefonti tutti i loro beni posti nella corte di Sassonero. Nonostante i possedimenti attorno al convento si moltiplicassero, nella bolla di papa Pasquale II, del 1113, sui beni camaldolesi, del Monastero stifontino, non viene fatta alcuna menzione. (Baldassaroni). Forse, perche' ancora troppo piccolo? Cio' e' molto improbabile. Sempre in tema di donazioni nel 1118 inoltre, il notaio ozzanese Martino, in favore della stessa chiesa di S.Cristina redasse un altro atto istruito da tal Emilia del Vico Roncaglia. Del "Monasterium Sancte Christina in eadem curte...." (trad.:nella stessa corte), ovvero "Castrum Britonum" (Castel de' Britti), si riscontra inoltre una segnalazione di privilegio di papa Onorio II sotto l'anno 1125 (Baldassaroni). Ma vediamo a questo punto di fare alcune precisazioni topografiche sul luogo esatto in cui sorgeva l'antico monastero di S. Cristina, ribattezzato poi della Beata Lucia. Partendo dalla chiesa di S. Maria Assunta e scendendo lungo la strada per circa 700/800 metri, si giunge al podere Valletta dove si scorge il pilastrino fatto erigere nel l679 dal discendente del famoso cavaliere (di cui si parla ampiamente al capitolo della Beata Lucia), il canonico Paolo Fava. Non sarebbe pero' questo il punto esatto, ma per il fatto che c'era la strada e per maggior comodita' dei fedeli, fu qui eretto il pilastrino. Il luogo infatti, si troverebbe in fondo al calanco; ovvero avanti 100/200 metri in linea d'aria, dal suddetto pilastrino. Il podere, che dal 1148 si chiamo': di S. Cristina, proprio in relazione alla presenza dell'omonimo monastero, oggi e' catastalmente noto come S. Lucia. Altri riferimenti sul convento camaldolese di Settefonti si trovano ancora nei privilegi di papa Eugenio II, del 1147, di Anastasio IV, del 1154; e di papa Innocenzo III, del 1198. Va poi ricordato che durante il badessato della famosa Lucia, in seguito Beata, alla quale il Vescovo di Bologna, Gerardo, concesse il privilegio in data 29/10/1149 e 3/6/1154 (ved. Annali Camaldolesi/Savioli), le monache dovettero cambiare residenza e si trasferirono nel fabbricato annesso alla chiesa di S. Andrea, di proprieta' dei monaci, dello stesso ordine, di S. Michele Arcangelo di Castel de' Britti. L'atto di trasferimento da Settefonti a S. Andrea di Ozzano fu sottoscritto dal Priore Gregorio in data 15/2/115G, come una vera e propria donazione, in cambio di una tovaglia quale compenso annuale. Oltre la chiesa di S. Andrea, alla Badessa Lucia furono donati anche gli edifici annessi, i terreni e le vigne. A dimostrazione del trasferimento delle monache da Settefonti a S. Andrea, per motivi di sicurezza: derivanti dalle slavine e dai briganti, si ricordano le donazioni del 1158 effettuate da tal Ubaldino di Adolino che lasciava all'ordine camaldolese terre poste in loco vocatur Basiliano (luogo chiamato Basiliano),e del 1190 dei fratelli Renno e Rodolfo figli di Rodolfo da Ventana i quali donarono o vendettero due pezzi di terra in Basiliano (6). Vent'anni dopo il passaggio delle monache a S. Andrea in Basiliano o di Ozzano, avvenuto il 10/1/1176, sorsero controversie fra Pietro Abate di S. Michele Arcangelo di Castel de' Britti e l'allora Badessa, Scolastica I la quale poi per mantenere il possesso sulla chiesa di S. Andrea dovette rinunciare a quella di Villafontana intitolata a S. Giovanni (Archivio di Stato). Nonostante la permuta la controversia non si placò, anzi si protrasse per oltre trent'anni; così come testimoniano due atti presenti nell'archivio caldolese. Finalmente il 12/3/1197 Gerardo Abate di S.Michele Arcangelo di Castel de' Britti, confermò alla Badessa Eufrosina che tanto lui, quanto i suoi successori non le avrebbero mai più molestate;e che avrebbero pututo per sempre restarsene tranqillamente nella chiesa di sant' Andrea (archivio di stato). Mentre il patrimonio fondario dell' ordine camaldolese alla fine del XII secolo aumentava incredibilmente,territorio ozzanese, al segulto di altre donazioni e alle dipendenze delle suore si contavano innumerevoli servi e contadini, nel 1190 un nucleo di monache del monastero di S. Andrea si trasferi' a Treviso dove fondarono un altro convento intitolato a S. Cristina. A questa fondazione segui' poi quella di S. Cristina della Fondazza in Bologna, nel 1245 e quindi un nuovo trasferimento, sempre causa il brigantaggio, delle monache stifontine da S. Andrea a Bologna, nel 1247, sotto il badessato di Scolastica la quale peri' nell'aprile 1248. Come per Settefonti, la cui chiesa del convento di S. Cristina rimase funzionante per altri tre secoli (nel corso dei quali, nel 1508, ricevette la nuova intitolazione in onore della Beata Lucia), anche per S. Andrea continuarono semplicemente gli offizi religiosi, pur restandovi una partedi suore. Col definitivo trasferimento in Bologna della maggior parte delle monache camaldolesi, di Settefonti, dalla seconda meta' del secolo, si parlera' sempre meno. Si sa solo che nel 1290 il castello di Settefonti era assoggettato a Bologna, e dalla stessa autorita' fatto fortificare nel 1297. Nel 1298, poi, nonostante venisse tempestivamente liberato dai bolognesi, causa un prolungato assedio delle popolazioni di Fiagnano e Piancaldoli, ne usci'incendiato e gravemente distrutto. Certo che il territorio stifontino, elevato agli onori della cronaca per la Beata Lucia, continuo' in ogni caso ad essere meta di pellegrinaggi per tutto il '300 e il '400. Altra puntuale menzione storica sul castello di Settefonti si riscontra tra il 1440 e il 1460, anni in cui veniva gia' segnalato completamentedistrutto e abbandonato. Lo storico Alidosi scriveva inoltre che il castello fu assegnato col feudo ad Antonio Maria di Giovanni LegnaniFerri, investito nel 1513 del titolo comitale da Leone X, il quale rimase signore della contea fino all'anno in cui Papa Clemente VII lo esautoro'. Per avere altre segnalazioni su Settefonti, almeno per quanto ci e' stato possibile scoprire, si dovra' attendere la seconda meta' del '500. Nel 1573, infatti, Settefonti torno' alla ribalta a seguito del decreto di papa Gregorio XIII il quale ordinava la traslazione delle reliquie della Beata Lucia, a quella data ancoranella chiesa di S. Lucia (gia' Santa Cristina), alla piu' sicura chiesa di S. Andrea (7). Si direbbe a questo punto che i pellegrinaggi a Settefonti fossero finiti, non essendovi piu' le spoglie mortali della Beata; invece non fu cos, perche' molti fedeli continuarono a raggiungere il luogo delle sette fontane, anche solo per bagnarsi gli occhi, con l'acqua della Beata, o del Prato, o di S. Cristina. Mentre il '600 trascorreva con segnalazioni di miracoli operati dalla Beata, feste in suo onoree con la traslazione nel 1642 della maggior parte delle ossa da S. Andrea a S. Cristina della Fondazza, nel 1754 le monache camaldolesi diedero vita ad una grandiosa festa a Settefonti. In occasione di questa sagra, celebrata neipressi del convento ormai decadente, le suore sublimarono le sette fontane al pari della beata e ai sette doni dello Spirito Santo. Nel 1756 il monastero di S. Lucia era ormai ridotto a rovine e irrecuperabile, ma visibile; mentre nel 1769 l'arciprete di Ozzano S. Pietro don Gavasei ne criticava severamente la totale demolizione. Il Calindri poi, che si reco' a Settefonti nel 1782, ne descrisse i ruderi delle fondamenta completamente ricoperti di ortiche; mentre delle sette fontane, lo stesso Calindri, registro' nelle sue cronache di averne viste solo cinque. Ancora dal Calindri apprendiamo inoltre dell'esistenza nei pressi di Settefonti, di un Monastero dei Padri Serviti e di una strada che conduceva a Firenze. Ma vediamo l'evoluzione demografica del territorio di Settefonti. Nel 1303 i fumanti erano 59; nel 1371, 38. Nel 1550 sotto la parrocchia di S. Maria Assunta si contavanocirca 228 abitanti. Nel giro di poco piu' di due secoli lefamiglie, spinte dall'interesse verso l'ormai tranquilla, comoda e fertile pianura, da 46 regredirono a 32, per un totale di 216 unita'. Nel 1806 gli abitanti calarono ancora sensibilmente, e la popolazione assogettata alla chiesa di Settefonti si porto' a 206 persone; incrementate poi a 300 nel 1845. Oggi di tutto quello splendido quadro che era (7) ...e il pio luogo settefontiano, esendo stato lasciato in abbandono, deperi' e rovino' senza quasi lasciar traccia di se' fuorche' il nome di Santa Lucia, rimasto al sito, ove sorgeva Settefonti, a parte alcune case coloniche, non resta che casa la Torre. Per il resto le slavine e l'ultimo conflitto bellico hanno cancellato quasi completamente ogni traccia. Non esiste piu' ad esempio: la casa del ministro Marco Minghetti, che sorgeva a fianco della chiesa di S. Maria Assunta; la chiesa stessa, della quale si puo' vedere solo cio' che resta del campanile e della facciata; il monastero intitolato alla Beata Lucia, gi… rovinato questo fin dalla meta' del '700; e le fontane, l'ultima delle quali e' stata occultata in tempi recenti dal proprietario del terreno per evitare pellegrinaggi indesiderati di estranei. Come l'insediamento di Settefonti, anche l'origine della chiesa di S. Maria Assunta e' molto incerta. Nel 1315 sappiamo pero', come testimonia un elenco delle Chiese della Diocesi Bolognese, che era gia' edificata e assogettata alla pieve di S. Giovanni Evangelista di Pastino. Quando poi sarebbe sorta, non si sa! Potrebbe essere comunque contemporanea al castello; se si tiene conto del fatto che e' costruita nel cuore del castrum Septemfontium. Vediamo ora, attraverso un puntuale inventario esistente nell'archivio parrocchiale di S. Pietro di Ozzano, come si presentava fra il 1726 e il 1772. Dotata di tre Cappelle con altari, nella Maggiore si trovavano due sculture di Giacomo Quadri da Lugano, e uno splendido quadro dell'Assunzione di Maria opera di Bolognini il Vecchio di Bologna. Nella seconda cappella, detta del Crocifisso, una tela raffigurante Gesu' crocifisso, con S. Maria Maddalena e la Beata Vergine; opera sempre del Bolognini. Nella cappella dedicata a S. Lucia, una tavola con la Santa Lucia, insieme ai santi Antonio Abate e Floriano. Il quadro, come riportava il parroco, si presentava gia' a quel tempo in pessimo stato di conservazione. Interessante sottolineare, che le opere d'arte erano nella chiesa gia' nel 1665. Dipendevano dalla parrocchia, due Oratori: il primo posto nel luogo detto Mercatello, intitolato alla nativita' di S. Giovanni Battista, costruito nel 1573 dalla famiglia Legnani Ferri; questo oratorio nel 1772 apparteneva al signor Giuseppe Gamberini e nel 1845 ad Alfonso Zanarini. Il secondo, nella casa detta la Torre dei Fava, ed e' intitolatoa S. Luigi Gonzaga; questo fu fatto costruire nel 1792 dal signor Giuseppe Bartolini, e nel 1845 figurava di proprieta' della famiglia Viaggi di Bologna.