Enrico
Panzacchi
Un sonetto, tra quelli di "Intima vita", ci rappresenta il Panzacchi quale appariva a chiunque lo avesse incontrato, ed apparve tante volte a me per le vie di Bologna, quale egli era nella maggior parte di sua vita.
Quando i tetti s'ascondon ne la volta
Del cielo, e semi spento il giorno piove,
Godo a tuffarmi nella nebbia folta
E andare e andar, senza ch'io sappia dove.
Allor la mente un vivo alito muove,
E i ricordi del cuor chiamo a raccolta
E torno sognator come una volta
Seguendo fantasie balzane e nuove.
Alberi intanto uomini e vetture,
Simili a ombre erranti in vacuo fondo,
M'appaion per le strade umide e scure.
Questo mi piace; e torno a amar la vita
Vista dentro il mio capo; ed amo il mondo,
Perche' somiglia una larva infinita.
Sognatore ambulante, dunque, cui pace d' avvolgersi, di perdersi nella nebbia; mentre, dalla moltitudine delle nozioni acquistate, delle sensazioni provate, su' libri e su gli uomini, su le tele e su i marmi e su per le onde sonore della musica, l'intelletto e il cuore gli traggono mille voci armoniche, mille pensamenti geniali, mille fantasie vivaci e graziose. Cosi' gli piace la vita; tra la nebbia, vista entro il suo capo. E tale imagine ci risorge sempre dinanzi, ogni volta che consideriamo l'assieme delle sue azione e de' suoi scritti. Di tal mondo fantastico egli si circondera' sempre: anche quando, in un'azione o in uno scritto, sembrera' uscirne un momento, egli vi ritornera' dentro in tutta fretta. Poiche' la natura lo aveva fatto artista sognante; la societa', le condizioni d'ambiente proprie a lui gli avevano effuso attorno un'atmosfera favorevole, tiepida e velata.
La sua figura alta, massiccia, ben complessa - gli si leggeva in faccia l'origine campagnola - si aggirava lenta, dinoccolata, placida per le vie di Bologna, piu' spesso di notte; con le mani nel taschino del panciotto, con l'eterno sigaro su le labbra. La testa espressiva, di bellezza virile, quasi imponente, avea sempre eretta: gli occhi bruni fissavano il vuoto o vi guardavano obliquamente: e tutto dava l'impressione di persona che vivesse fuori della comune atmosfera; perfino quando era dagli amici richiamato in terra, o quando egli stesso vi rivolgeva la parola, nell'argomento fatuo o grave della conversazione, nella voce baritonale bellissima, egli non sembrava di questo mondo.
Eppure, in questo mondo visse; ed osservo' con acutezza e penetrazione; ed opero' con serieta' e genialita'; e non inutilmente, per noi.
Nato il 16 dicembre 1840 ad Ozzano, entro' giovanetto nel Seminario, il solo organo d'istruzione media ne' bei tempi passati. "Allorche' il Panzacchi entro' in camerata, - scrive il Borgognoni - tutti fummo colpiti dalla sua figura di campagnuolo mezzo selvatico: impacciato nelle mosse, con una gran testa di capelli arruffati, col mento inchiodato sul petto, e gettando occhiate di sotto in su con due occhi spauriti".
Questo selvaggio impacciato, questo contadinotto, non passeranno quindici o venti anni, e diverra' uno degli uomini piu' amabili in societa', dalla conversazione fine ed attraente, un vero fascinatore dell'arte della parola, sia che parli in pubblico, sia che si diletti con gli amici, sia che corteggi le artiste ne' camerini o le signore nei palchetti. E sapra' vivere senza urtare nessuno; e sapra' diventare a tempo debito uomo di parte e di governo, e sapra' guidare l'opinione pubblica, massime in arte. E' una trasformazione profonda, esteriore ed interiore, avvenuta nel contadino, ricco di vero ingenio, al contatto di tutto quello che vi ha di educativo, che sviluppa ed affina gli spiriti, nel mondo degli scrittori antichi e moderni, delle arti plastiche e melodiche. Per effetto di questa trasformazione, ed anche in grazia di una meravigliosa virtu' di assimilazione - onde nell'animo gli si chiudeva, sempre facile a scaturire, una fonte ricchissima di pensieri, ricordi, imagini - il Panzacchi, a Bologna, si trovo' ben presto in vista, collocato ben alto nella stima di tutti.
Laureatosi in filologia, nominato nel '66 professore di storia al Liceo di sassari, poi di filosofia a Bologna, nel '70, dopo aver pubblicato un genialissimo discorso intorno all'Arte moderna, passo' ad insegnare Storia delle Arti ed Estetica presso l'Accademia di belle Arti. Di questa fu poscia presidente benemerito. Negli ultmi anni lo nominarono professore di Estetica all'Universita. Nessuno meglio di lui meritava il posto; ma nessuno meno di lui faceva lezione. Ogni tanto: magari un volta all'anno, ed erano discorsi splendidi; ma lo sforzo ordinato, minuto, paziente di chi deve insegnare gli facea difetto .La vita gli piaceva cosi', nella nebbia , "vista entro il suo capo"; non della dura realta' , nel forte ostacolo da superare .E gli uomini, la societa', lo lasciavan fare; perche' egli si rendeva utile con altre forma di vita ,piu' giniali, piu' rispondenti ad un voluttuario dell'arte. Nel 1868 egli comincio' a mischiarsi tra le lotte politiche, e traverso a queste passo' dall'amministrazione del Municipio e della Provincia di Bologna fino al Parlamento, fino alla Minerva. Con quali idee e con qual colore? A que' tempi imperava in Bologna il partito verde-malva, ovvero moderatissimo; gli contrastava, con poca fortuna, un partito avanzatissimo, color di rosa a petto dei nostri partiti estremi, ma allora di un rosso-scarlatto fiammante. Si formo', come avviene spesso, una tendenza media di quelli che odiavano gli eccessi reazionari e rivoluzionari, e, fermi ne' principi fondamentali dell'unita' e della monarchia, avevano l'animo aperto e pronto ad ogni ragionevole temperato progresso. Tra il verde-malva degli uni e il rosso-scarlatto degli altri, questi si dissero gli azzurri: un'audace schiera di giovani, che conquisto' ben presto il Municipio. Il Panzacchi ne fu l'assessore per l'istruzione.
Il migliore ordinamento alla scuola elementare di Bologna si deve a lui: questa ed ogni altra istituzione cittadina di cultura e di arte il Panzacchi curo' con amore e sorresse ne' momenti in cui pericolavano. Singolar ricordo, istruttivo anche oggi, merita l'opera dell'assessore per la laicita' della scuola. Egli aveva escluso l'insegnamento religioso, restituendolo al suo terreno naturale, la casa e la chiesa; e cosi' rimase fino al 1895 quando, per un'ordinanza ministeriale, la questione fu riportata in Consiglio. Egli difese l'opera sua con una dichiarazione che in Bologna rimase celebre, e da cui traspare quale anticlericalismo fosse il suo; razionale e niente fegatoso.
La moderazione fu, del resto, la nota costante del temperamento politico del Panzacchi. La fede devota nell'avvenire dell'Italia e della Dinastia, il patriottismo ardente che gli animava l'eloquenza dello stesso vigore che l'amor delle arti, egli improntava di una temperanza, di un rispetto per gli avversari, e di una serenita' e lucidita' intellettuale rarissime negli uomini e nei partiti d'ogni colore e d'ogni tempo. Tra l'urto villano dei partiti, trab i contrasti rudi e feroci, egli non vide quasi mai quel che giova praticamente alla vittoria immediata; ovvero, se lo vide, non seppe torcere gli occhi dalla luce di equita' e di civile educazione da cui fu informato il suo spirito, illuminato quel mondo di sogni entro cui vivea piu' spesso. "Nelle discussioni - egli diceva - io mi sento a disagio, perche' sento quasi sempre di essere un poco dell'opinione del mio avversario". In un sonetto al Milelli, protestando l' incapacita' sua di pensare o seguire novita' audaci in poesia od in altro, usciva in una confessione preziosa a conoscere quella natura:
Sai ch'ogni ribellion mi fa ribrezzo:
Che avvolgo tutti del mio gran rispetto,
Per fin le donne, per fin la questura.
Ecco perche', quando gli azzurri cominciarono a
dividersi, e da una parte il Beccarini e il Cairoli con i cosi'
detti progettisti formarono il partito democratico, dall'altra i
meno avanzati si fusero con il vecchio partito moderato, il
Panzacchi rimase con questi ultimi; anzi de' liberali monarchici
bolognesi, a poco a poco, divenne e rimase, fino alla morte, il
capo riconosciuto, l'oratore ufficiale. Cio' non ostante, dove'
stentare ad entrare in Parlamento. Fu due volte sorteggiato. Poi,
perche' scrittore, non era sempre preso sul serio ne' dagli
elettori, ne' da qualche perfetto manipolatore di elezioni.
Basti, a conferma, un solo aneddoto, che riporto dal Resto
del Carlino:
Nel 1895 fu portato candidato al collegio di
Guastalla, contro Prampolini. Egli dunque, candidato
ministeriale, credette opportuno, prima di cominciare il suo giro
elettorale, di abboccarsi col rappresentante del Governo per
avere qualche indizio, qualche dato sugli umori dei diversi
luoghi del collegio.
Il prefetto gli fece le piu' cordiali e festose accoglienze... e
con non poca sorpresa del panzacchi si mise a parlare di
Orazio... non senza escludere Omero... Insomma un perfetto
letterato.
Dunque poesia latina e greca, ma niente elezioni....... E quando
Panzacchi volle tirarlo al sodo e all'argomento che gli stava a
cuore si senti' rispondere:
-Ma le pare, professore! Un uomo come Lei, coi suoi meriti, la
sua fama! Ma non ci pensi nemmeno, la cosa e' fatta!...
-Uhm! Penso' panzacchi, si mette bene... Ma pero'
coscienziosamente si fece il suo bravo itinerario, si prese una
brava carrozza e via alla conquista degli elettori.
Al primo punto d'arrivo, sala affollata, accoglienze simpatiche,
cordiali. Panzacchi parla, e secondo il solito e' eloquente...
Applausi, strette di mano, congratulazioni.... poi lo scoppio di
un'acclamazione enorme, generale:
-Viva Prampolini!!
Via, avanti per la seconda tappa. Panzacchi monta in carrozza.
Fatti cinquanta metri, vede passarsi davanti una squadra di
ciclisti che lo salutano rispettosamente. Panzacchi pensa:
-Sono i miei ragazzi che vanno a preparare il terreno. Bravi
ragazzi!
Alla seconda fermata: pubblico enorme, accoglienze anche piu'
calorose e cordiali, applausi, strette di mano,
congratulazioni... poi ancora lo scoppio formidabile - Viva
Prampolini!!
E cosi' di seguito per tutto il viaggio... Esito della elezione:
un fiasco completo... Il partito socialista aveve imitato il
prefetto: i pretesi amici erano galoppini avversari che andavano
a dare la parola d'ordine: accoglienze cordiali, festose anzi al
letterato, alloratore brillante, ma niente elezione
E Panzacchi, nel raccontare, concludeva:
-Oh Dio! Il mio viaggio e' stato lusinghiero per luomo di
lettere e per loratore, si', ma per luomo politico
non e' stato una gran cosa!
Entrato, adunque, piuttosto tardi in Parlamento, egli vi si fece ascoltare
e stimare non poco; ma non vi merito' gran lode di attivita'; in mezzo alle questioni
piu' gravi, si estraeva maledettamente; e gli appelli nominali rade volte rispondeva,
non certo per opportunismo.Tuttavia, nella corta vita del Ministero Saracco,
fu sotto segretario per listruzione: ed in quei pochi mesi preparo', tento'
e non pote' far altro. Ne fece pero' una delle sue, che rivela il sognatore ambulante
non solo per le vie di Bologna, anche per i corridoi della Minerva. Mancava
ne Licei l'insegnamento della Storia dell'Arte; e manca tuttavia. Un bel
giorno, con una piu' bella circolare, il Panzacchi ordina che in tutti i Licei
i professori di lettere impartiscano lezioni di Storia dellArte. Sintende,
senza che ne' i professori avessero mai studiato, se non per caso, la nuova materia,
ne' lo Stato li provvedesse almeno di riproduzioni fotofrafiche, ne' molto meno
si accrescesse di un soldo lo stipendio degli improvvisati critici e storici
della pittura, della scultura e dell'architettura.
E poco altro rimane a dire dell'uomo. Quando avessi aggiunto che era equilibrato
pur nel fantasticere, che era d'una modestia e sincerita' a tutta prova, che
non soffriva d'invidia per nessuno, che la intima tranquillita' serena, la giocondita'
connaturata dello spirito non gli fu che rare volte intorbidita dal dolore,
che non ebbe nulla di amaro, di iroso; quando avessi aggiunto che amava e proteggeva
i giovani artisti e scrittori con affetuosita' paterna, con sollecitudine innamorata,
ed era generosa di consigli, di avvertimenti a tutti, e difficilmente negava
discorsi, articoli o versi, che in fine fu anche un gaudente io avrei compiuto
questa figura di uomo; se nopn mi sovvenisse che, a delinearla intera, mancano
ancora due note caratteristiche, una serie ed un comica, ma tutt'e due fatte
apposta per accrescergli simpatia..
Quante volte su l'orizzonte dell'arte sorgeva alcuna opera nuova,
si affacciava alcun autore ignoto o mal noto, dalla nuova
bellezza o grandezza egli si sentiva prontamente soggiogato; e se
ne faceva un banditore sincero, appassionato, senza nessun
rammarico per se', senza ne' pur l'omra dell'invidia. Cosi',
quasi sostenuto dal braccio e dalla voce poderosa del Panzacchi,
entrarono nella conoscenza e nella estimazione del pubblico
bolognese ed italiano Giosue' Carducci, Riccardo Wagner, il
pittore Luigi Serra, il Segantini, e tanti altri minori.
Era una specie di effusione artistica di qull'animo buono, che
sentiva e praticava davvero la fratellanza in arte.
Questa la nota serria: la nota comica e' data dalla continua,
fenomenale distrazione, che egli acquisto' fama proprio meritata.
Sentiamo l'articolista del Resto del Carlino:
Moltissime delle sue distrazioni sono troppo
note e ormai di dominio pubblico; ne staro' qui a narrare dei
pubblici aspettanti una conferenza, mentre il Panzacchi dimentico
dell'ora passeggiava tranquillamente per le vie di Bologna; della
sua signora dimenticata una sera a teatro
Piu' tipico e' il suo viaggio in non so quale paese del suo
collegio.
Da quasi un'ora gli elettori che volevano festeggiarlo
aspettavano, e stanchi si erano recati con bande e bandiere alla
stazione dubbiosi di un ritardo
Ed ecco di fatti il treno sbuffante arriva in stazione: il
panzacchi e' allo sportello: le bandiere sventolano la banda
suona
ma il treno va, va, e passa volando sotto il naso
degli elettori stupefatti. Panzacchi aveva sbagliato treno, e
preso quello in partenza pochi minuti dopo e che non si fermava a
quella stazione.
Si racconta anche questo altro caso.
Panzacchi e' invitato a pranzo da una signora e non si fa vedere.
Pochi giorni la signora lo vede per la via lo saluta, lo
ferma
Niente del pranzo: ne' una parola ne' una scusa.
Allora la signora glielo ricorda, e gli rimprova la sua
distrazione.
"Ah! Cara signora! Io non dimentico che le cose che non
voglio ricordare!
Un nuovo accesso enorme di distrazione, o un grido dell'anima contro le odiose
corve'es dei pranzi di societa'?!
Non indaghiamo il mistero!
Un ultimo ricordo ci mostra che squisita gentilezza albergasse in quell'animo. Quando il Carducci scrisse l'Ode alla Regina, l'Ode che fece epoca in Italia, mentre da ogni parte piovevano lodi, rallegramenti, omaggi, il Panzacchi seppe esprimere il suo entusiasmo nella forma piu' bella ed efficace: mando' al poeta un mazzo di rose.
Tale figura d'uomo, tale carattere bisogna tener presente per
spiegarci lo scrittore.
Nessuna opera complessa, nessuna opera organica ci e' rimasta di lui. Egli si
fermava quasi sempre a disegni astratti; e (lo sentiva e lo diceva con amareza)
il lavoro dei suoi anni migliori si potrebbe paragonare ad una serie lunghissima
di tele di ragno appena cominciate e distrutte da un colpo di vento. Come nessun
opera organica, cosi' non ci lascio' nessun sistema, nessun organismo di idee
nuove o di verita' nuove da collocare nel patrimonio preziosodelle conquiste
umane. Ce lo confessano abilmente nella Prefrazione ai Nuovi versi:
Forse non ignora, signor Zanichelli, che molti de'miei migliori anni io spesi, ohime'! Negli studi filosofici. Gli studi sarebbero andati innanzi abbastanza bene senza quella sciagurata necessita' di scegliere una scuola. Sei tu hegeliano, giobertiano, herbertiano o tomista? E mestieri che ti decida a meno che non voglia fondare tu una scuola nuova. E io ci mettevo tutta la buona volonta' del mondo, ma decidermi non riuscivo. E la faccenda si metteva male, perche', agli occhi della gente, che cose' un filosofo che non appartenga ad una scuola o non ne stampi una propria? Sfiduciato , lascia di affaticarmi il cervello sullente , sul divenire o sulla monade e, riannodando un mio dolce amore infantile, mi rimisi alla discipline delle muse.
Ed anche del suo ritorno alle muse, della sua devozione allarte non menava gran vanto, ne teneva un conto sperticato. Difatti conchiudeva:
Coloro che fossero per giudicare fiacche le mie liriche e noiosi i miei racconti, non temano chio li chiami eretici ed empi e ignoranti e , mascalzoni. Ho sortito da natura una passione per le cose belle del pari forte che disinteressata; e i capolavori, desidero vivamente che altri li scriva e dia a me il piacera tranquillo e pieno di leggerli.
Luomo fu in lui nemico artista. Il giudizio non e' mio,
ma di un suo discepolo, il Lipparini, in cui in un momento di
abbandono,diceva:"Io ho vissuto molto; e non ho scritto
quello che avrei patuto; perche non ho voluto mai sacrificare la
mia vita alla mia arte".
Ecco il segreto di questo carattere di scrittore. Ecco spiegata la varieta'
dilettosa della sua produzione e la qualita' di cio' che scrive. Lo studio e'
per lui un godimento, un modo di godersi la vita. Egli trova interessante e
dilettevole gustare le opere immortali degli scrittori antichi e moderni, e
con quelle le figurazioni armoniche de' grandi maestri di pannello o di scalpello,
e le sinfonie e le melodie rapritrici dei grandi musicisti. E trova interessante
e dilettevole ammirar la natura e studiar l'uomo- e le donne in special modo-
e trarne impressione. E siccome colunque soddisfacimento ci procurino simili
diletti non e' pieno se non quando vien comunicato altrui, cosi' egli trova di
buon gusto fermar sulla carta o lanciare nella parola alata quando lo ha commosso.
Per questo, egli diventa novelliere, poeta, giornalista, critico di ogni arte
plastica, musicale e letteraria., oratore di ogni bella occasione. La coltura
era per lui un godimento vitale: e volle farne per noi un godimento vero. In
cio' egli si stacca nettamente dalla affanosa e faticosa critica italiana; in
cio' forse si rivela l'influsso francese e la somiglianza che han voluto trovare
tra lui e il Coppe'e.
Dato questo concetto fondamentale, si intende bene cosi' la natura di quello
che la materia dei suoi scritti, come il carattere della forma del Panzacchi,
nella prosa e nella poesia. La tranquilla serenita' de' pensamenti, dei godimenti
estetici si rispecchia intera nella esequzione formale. O prosa, o poesia, tutto
e sempre procede con disegni sicuri, con limpido ordine, con chiarezza e semplicita'
( qualita' ormai rarissime), con andatura piana, senza scosse, con una frase
pura, corretta, italiana, con l'inguaggio spesso luminoso di immagini facili
a cogliere: nulla di forte, nulla di aspro, nulla di rotto e violento; niente
densita'e' intensita': sempre scorrevole armoniosamente sempre composte a, felice
nell'espressione.
Per questo assieme di qualita' felici, rare a trovarsi tutte conserte in uno
solo, il Panzacchi e' originale, di un' originalita' non grande, ma tutta sua.
Su l'arte sua di scrivere non ebbe efficacia nessuna delle forme affacciatesi
con vigore e con novita' sull'orizzonte letterario italiano. Ammiro', favori' la
fama del Carducci; ma non imito' nessun atteggiamento ne di lui, ne di alcun
altro." Se i poeti moderni (egli scrisse), potessero come gli antichi far
voti e domanda a Giove, io gli avrei chiesto; un arte ne' vile ne' plagiaria:
di bere a nappo non grande ma mio".
Il Panzacchi fu soddisfatto senza dubbio.
Il Panzacchi fu novelliere, critico, oratore, poeta. Da qualunque
dei quattro aspetti lo si osservi, il carattere d'uomo e di
scrittori gia' disegnato non si smentisce mai.
Meno importante riesce come novelliere; eppure i suoi racconti
ebbero edizioni molteplici. Gli argomenti sono leggeri e
leggiadri, ma di scarsa originalita'; in qualcuno c'e' dell'
assurdo; per esempio nel racconto di due innamorati in cui occhi
neri nell'una, azzurri nell'altro, a poco a poco si scambiano il
colore. Ma egli racconta sempre senza fatica, amabilmente,
descrive, dipinge con garbo le scene della vita, gli aspetti
delle cose. Qualche novella, come Fra Ginepro, Povero
Guermanetto, e' ritenuta classica e proposta modello nelle
antologie.
Ma il critico si deve giudicarlo superiore di gran lunga, e non
perche' il Panzacchi critico riesca profondo, nuovo; ma perche
svariato, molteplice, eclettico qual egli e', passa con
disinvoltura dall'analisi di un romanzo a quella di un quadro, e
dallo studio di nuove poesie a quello di musica nuova: e Gluck e
piccin, il leopardi e mons. Golfieri, il Mazziuoli e il
Segantini, il Rossini e il Wagner, il Tommase'o e il Carducci ,e
il Verdi oggi e il Galileo domani, ed oggi l'arte del Duecento e
domani qella di Roma antica o del Seicento; tutto si rimescola
nell'opera di lui e da' luogo a pagine bellissime di critica. E
queste pagine si staccano sempre dal fondo comune dell'odierna
critica per il retto senso, per il buon senso e per un gusto
raffinato, sicuro, che vi diminano sovrani:e si fanno eleggere
per l'abilta' da lui posseduta di afferrare due o tre buone
impressioni, due o tre fili orditori, e lavorarli con un
linguaggio tanto piano quanto aristocratico.
Ne' in manca la nota originale. Egli ebbe di mira un'idealita',
che in se attuo' pienamente e si sforzo' che fosse seguita dagli
intelletuali del tempo nostro. Mentre oggi tutto si specializza,
e fuori, non del proprio compo, ma del breve solco scavato e nel
sapere da ciascuno, di solito, non si capisce nulla; mentre un
poeta, ad esempio, e' capacissimo, di non sae'pere niente di
musica ed uno storico solenne confonde una statua del piu
bel Quattrocento con una del piu oscuro Medioevo; il
Panzacchi sostenne la necessita che queste parti dello
spirito cosi divise debbano per la coltura ricongiungersi
in noi, che il senso dellarte e delle arti debba ugualmente
diffondersi, che le nostre facolta artistiche e
scientifiche debbano tornare, per godimento nostro, ad
armonizzarsi in noi, come erano mirabilmente armonizzate ad
unita nel luminoso Cinquecento.
Tale il critico, che ad un simile bella idealita congiunse
un senso della modernita sviluppatissimo: onde ben si
comprende come il Carducci gli abbia dato quella lode superba,
"io debbo non poco
. al senso acuto eretto di Enrico
Panzacchi, che mi ha emendato".
Nel Panzacchi il critico si fonde con il conferenziere, con
loratore: la miglior produzione di tal genere e tutta
ne discorsi. Anche quando scrive un semplice studio di
analisi attorno alcun argomento, egli si sente come dinanzi un
uditorio; ed atteggia la materia e la forma cosi da
renderla intelligibile, immediata, attraente.
Da Teste quadre, al libro su Riccardo Wagner, a
Conferenze e discorsi e' tutta unascensione
per questa via. Chiunque abbia sete di culture legga laureo
libriccino LArte nel secolo XIX, dove si passa in
rapida rassegna quanto l Ottocento ha prodotto di grande,
di singolare nelle manifestazioni letterarie, plastiche,
musicali. Che pienezza e larghezza di comprensione, che sicurezza
nell'indicare tutto quello che vi ha di rilevato nel moto
moderno! E quanta signorilita' e compostezza di stile! In questo
discorso tipico si rivela meglio l'ufficio proprio cui adempi' il
Panzacchi, il tipo di letterato cui corrispose.
Egli e' l'aristocratico volgarizzatore dell'arte e della storia
dell'arte: e non si confonde ne' col povero professore che vi
riduce in moneta spicciola una particella di sapere, ne' col
professore universitario che vi analizza profondamente e
noiosamente un fenomeno qualunque, ne' col ciarlatano che cerca
l'applauso sbracciandosi dietro ai paradossi, o correndo a caccia
della frase meravigliosa, ne' molto meno con quei microcefali che
tuttodi' si espongono alle folle o per ricantare peggiorato
quanto si legge nei migliori, o per pavoneggiarsi di una
scopertina, di unideuzza scovata da loro e che sembra loro
una almeno delle due Americhe.
Il Panzacchi, anche semplice commemoratore, rimane sempre
artista, nemico di volgarita', signorilmente composto pur
ne momenti in cui trascina gli ascoltatori.
Diceva egli cose nuove, straordinarie? No. Ho sempre innanzi alla
fantasia una commemorazione del XX Settembre da lui tenuta dieci
anni addietro nel popolare teatro Brunetti. Io non so descrivere
il silenzio ansioso della folla: come non so rendere lo slancio
di commozione intensa, luragano di applausi, gli urli in
cui la folla ogni tanto prorompeva. Parea che un soffio di
potenza divina, spirando a intervalli, ora sedasse, ora agitasse
quel mare di spiriti in tempesta.
Uscito di la', rimessomi da quella specie di turbamento, mi
domandavo: -Ma che cosa ha detto?- E mi si schieravano innanzi ad
una ad una le idee, le imagini: e non una mi riusciva nuova o di
ignota bellezza. Eppure, tanta era la felicita' e la forza che
tutto prendeva nellarchittetura artistica, tanta era
limpressione che ogni concetto faceva su di noi traverso la
parola vivificante, la voce calda, misurata, potente che tutto
sembrava nuovo e grande.
Avevo letto tante volte il Paradiso; ma soltanto quel
giorno compresi lefficacia meravigliosa
dellinvenzione dantesca per cui tutto il cielo e la
moltitudine de beati si tinge di rossore e rompe in un
tuono di indignazione a sentire San Pietro noverar e le vergogne
della Curia romana.
Il Panzacchi possedeva tutte le doti piu' felici dell
oratore: la figura imponente, la testa espressiva, una voce
doro, di pianezza calda e sonora, la misura e
leleganza del porgere pur del gesto largo e magnifico, la
prontezza dellimagine, della parola, della frase piu' atta
a commovere: e possedeva il senso musicale del periodo, il
periodo gli fluiva ritmicamente dalle labbra.
E po, pareva che improvisasse. Di certo, la parola, il
periodo era impreovvisato; ma la tela dei pensierti, le imagini
culminanti dovevano esser preparate da lunga mano. Ogni
costruzione organica di picciola mole, non balza su come i
castelli di neve.
Ecco difatti quel che ci racconta un geniale architetto
bolognese, Tito Azzolini, che nell' Accademia di Belle Arti
conviveva quasi con il Panzacchi e gli era amico intimo e devoto:
Quando doveva preparare una conferenza, egli si
astraeva dal mondo; i colleghi, gli amici lo vedevano passeggiare
nel cortile grande dell'Istituto, adorno di verde per suo
desiderio, con la pipa in bocca, pensoso, incurante di tutto, ed
a tratti rientrare nello studio per fermare sulla carta alcune
idee; indi riprendeva la passeggiata.
E non di rado il bisogno di seguire il corso delle idee lo teneva
nello studio giorni interi, ne' era infrequente il caso che egli
vi trascorresse anche la notte.
Altre volte se ne udiva la voce che ripeteva le frasi pensate per
il discorso che componeva, finche', pago dell'opera sua,
ritornava alle domestichezze abituali con chicchessia.
E del discorso scritto o degli appunti riassuntivi era notevole
che egli non facesse piu' alcun uso per la recitazione della
conferenza o della lezione, poiche' la carta pareva avesse
contro-stampato nella sua memoria il luogo, paziente, assiduo
lavoro di preparazione, di cui niuno avava cognizione e che
mostrava quale studioso egli fosse, anche quando apparentemente
girellava per le vie o per il cortile dell'Accademia.
Egli era troppo cosciente che la parola dell'oratore - come
dice il Montaigne - appartiene meta' a chi la dice, e meta' a chi
l'ascolta; e pero' era restio resti'o a pubblicare i suoi
discorsi; e troppi di essi furono perduti per noi.
Ma in Bologna, e per l'Italia, la sua maggior popolarita' il
Panzacchi dovette appunto a se' stesso oratore. Il saluto sulla
salma di Marco Minghetti le parole sgorgategli dal cuore per la
morte di Vittorio Emanuele, al popolo, in piazza San Petronio,
meriterebbero di essere eternate in tutta la potenza e
l'illusione della realta'.
Rimarra' nella storia il nome del Panzacchi poeta? Io penso
francamente di si'; non ostante che il lirismo eccessivo, cui si
sono abbandonati alcuni elogiatori su per i giornali, susciti
naturale la reazione; non ostante che noi, a prima vista,
abituati alla poesia dai significati riposti profondi,
dallartificio raffinato faticoso, ci sentiamo un po
delusi dinanzi a quei versi della contenenza talvolta leggera,
non mai densa e grave, dallespressione cosi' facile, cosi'
poco sfarzosa. Eppure, quando la critica avra' ordinato e
sceverato quel che vi ha di piu' espressivo, di piu' tipico tra
le molte liriche del Panzacchi, forse il suo valor poetico
apparira' non scarso, o chegli si guardi nei rapporti con
il tempo suo, ovvero da se', come individuo.
Nella storia della poesia non si ammira soltanto laquila
che vola sovrana e fissa la pupilla intrepida del sole: si pregia
anche la lodoletta che " in aere si spazia " e ricade e
si abbandona inebriata nella dolcezza del sole. Accanto a Pindaro
ve' Anacreonte, e accanto al Carducci ve' il
Panzacchi.
Lultimo trentennio del secolo XIX si puo' dir pieno
dellopera di reazione contro il romanticismo snervante e
chiacchierone, contro la retorica patriottica e la
sentimentalita' svenevole, contro il manzonianismo degli
stenterelli e la soverchia facilita' e la trascuratezza della
forma, contro quella deficienza di coltura storica ed artistica
che ai nostri uomini di lettere derivo' il moto febbrile del
risorgimento. E questepoca e' tutta una serie di studi
severi e larghi, di tentativi faticosi e geniali, per sapere, per
riportare la sanita' e la classicita', per tentare nuove vie e
nuove forme. La sorte ha voluto che di questa reazione Bologna
fosse il centro poetico.
Quivi appunto operarono e fiorirono il Carducci, il Panzacchi, lo
Stecchetti, e talvolta lavorarono insieme a scrollare certi
" Dei falsi e bugiardi ". Come si unirono nel
pubblicare un periodico di arguta fama, Il Matto, cosi'
un giorno saranno dagli storici uniti in questa opera di reazione
della poesia e della critica poetica. Tutti e tre curarono
indistintamente (per quanto sia diversa la materia trattata e la
potenza di ciascuno) la sanita' e la sincerita'
dellimpressione, la correttezza del disegno, la purezza, la
classicita' della forma. Ne' si creda che scarso e ristretto sia
linflusso esercitato dal Panzacchi poeta. " A petto
dell Carducci egli diceva con modestia io saro'
sempre un gran malvone " in politica ed in poesia; e cosi'
fu senza dubbio; ma leditore Zanichelli puo' anche
ricordare che, neiiitalia meridionale specialmente per
qualce decenio liriche del Panzacchi erano ricercate e lette
assai piu' che qelle delCarducci. E di cierto prima che le
signore e i giovani dallo stomaco delicato si fossero avvezzi al
forte cibo carducciano, essi leggevano e gustavono molto meglio
il Panzacchi.
Questo per la storia. Meno facile riesce determinare i caratteri
individuali per cui la sua poesia si stacca dal fondo storico del
secondo Ottocento. Per intenderla, bisogna dener presente quale
fu luomo, e ricordare la natura artistica di quel che
formo' la coltura.
Anche la poesia e' per lui un godimento della vita; ed il
Panzacchi ce ne fa un godimento. Larte poetica e' una
volutta' per lui. Preferisce i soggetti che li procurano
impressioni gradite: percio' egli o ne rappresenta bei fantasmi
plastici tratti dalla mitologia, della legenda, dalla storia, o
ci descrive brevi scene o paesaggi di natura, o sensazioni
gradevoli delle arti belle, ovvero- ed e' il caso piu' frecuente-
gli effetti dellamore, la donna innamorata, che sorride
sempre di un sorriso misterioso, fascinatore. Di aver preferito
la donna come fonte di poesia non gli saprei dar torto.
Anche se tratta soggetti dolorosi, il turbamento dello spirito
non e' mai cosi' grave che ne rompa larmonia composta, o
gli strappi dell interno un grido d angoscia. Quanto
vi ha di forte, di troppo forte, di cruccioso, di amaro e'
bandito da quella poesia. Sembra davvero ch ella non
appartenga ai nostri tempi. Il Panzacchi cosi' moderno nella
coltura, nel modo di pensare e di scrivere, non sente che ben di
rado langoscia, lo sgomento, il tedio della vita; la lotta
per l esistenza non gli solco' mai la fronte di forti
rughe.
Come poeta-artista, il Panzacchi eccelle nel cogliere e fermare
momenti belli e gai, o mesti, della natura, dell anima; la
cima arte sua conquista allor che i momenti resi sono avvolti in
una nebbia di sogno. I versi mostrano raffigurati i pregi di
forma, che ho detto gia' si riassumono nella limpidezza del
disegno, nella immediata intelligibilita' del concetto, nella
pura felicita' della frase. Qualita' piu' proprie e singolari di
lui mi sembrano la scorrevolezza e la musicalita';
onde il primo vero saggio poetico fu Il Piccolo Romanziere,
versi tutti per musica; ed altre ancora, come la sincerita'
e la spontaneita', per cui non si potra' mai dire che
egli abbia cercato la Musa: lultimo volume di versi si
intitola appunto Cor sincerum. Si aggiunga labilita'
pittorica di lineare il paesaggio, entro qui inquadra il
soggetto. E su tutto domina una delle qualita' sovrane in arte;
la grazia, nel senso piu' classico e greco della parola,
la grazia, che e' necessaria alla bellezza, alla stessa
dea della bellezza.
Hanno detto che in lui rivive il trovatore provenzale, che in lui
vigoreggia un felice innesto di romanticismo e di classico, che
egli sta tra i seguaci del De Musset ed i nuovi parnassiani.
Giuochi acrobatici di parole! Egli non e' altro che un
voluttuario sincero della poesia. La sua opera poetica e' tenue,
e leggera fatta di ricami un po frastagliati, sempre
graziosi:musica francese alla Massenet. Manca di potenza, ecco
tutto. Ma anche il Panzacchi poeta, come il novelliere il
critico, loratore, rimane pur sempre una luminosa figura
tutta italiana, di una tempra armonicamente equilibrata.
Voglio ricordare qualcuna delle liriche che rimarranno, sensa
dubbio. Poesia di sensi veramente umani, e profonda, pare a me il
Prometeo liberato; quivi s imagina che il centauro
Chirone rinunzi allimmortalita' per sciogliere dai ceppi
Prometeo, il liberatore degli spiriti: il centauro getta lungi da
se' la meta' bestia, (direbbe il Machiavelli), per
salvare ed elevare la meta' uomo. Linvezione, per
altro, appartiene alla mitologia.
Attraente nellumorismo malinconico e nella sana morale, Accanto
al fuoco: dove Don Giovanni Tenorio rappresentato vecchio,
mentre passa in rivista i ricordi damore: una lettera ancor
sigillata, che gli capita fra le mani, li suscita curiosita'
vivissima; ma egli resiste, e la da alle fiamme. La
fanciulla, rimasta incontaminata per una distrazione di lui, lo
ringrazia nel sogno. Ma la bella invenzione non e' tutta
originale: deriva di certo dal Baudelaire.
Il massimo della forza plastica di rappresentazione il Panzacchi
raggiunge nei primi versi del Centauro:
Cosi' le reni e il petto ampio e possente
Inalberando sul gran dorso equino,
E d'un riso ridente
Tra l'umano bellissimo e il ferino,
Ratto, come se i piedi avesser ali,
Per le balze del tuo Pelio selvoso
Correvi a le fatali
Cene di Piritoo, mostro formoso;
E in groppa a te data la chioma ai venti,
Dainaira dalle bianche braccia
Con lunghi allettamenti
Ti cingeva amorosa; e tu la faccia
Cupida ai baci rivolgevi. Il sole
Ti dava in fronte il trionfal suo raggio;
E questa umana prole
Trepida, invidiante al tuo passaggio
Dai tuguri guatava....
Il massimo impeto lirico si manifesta in quelle tra le poesie
patriottiche che a me sembra la migliore: Makalle'.
Una specialita' del Panzacchi si puo' ritenere la poesia dalle
strofette brevi; anacreontiche perfette. Ricordo, a modello, due
bellissime, meste: Epigrafe e Notturnino; ed altre due
assai significative, lievemente comiche: Cose che succedono,
Dal vivo. Quest'ultima merita d'esser riportata.
Ne la testina bionda
I sogni han reo fermento;
Mutabil come il vento,
Perfida come l'onda
Sorride a la gioconda
Idea d'un tradimento:
Perfidia come il vento,
Mutabil come l'onda,
Ella i miei sogni ha morti
Le speranze care
Ma , con tutti i suoi torti,
Se vuol ricominciare,
Che il diavolo mi porti,
La tornero' ad amare!
La perfezione del suo genere raggiunge il Panzacchiin altre
due liriche,dove il sognatore rapito si manifesta intero.
Una s' intitola Sognando. Il poeta cammina sui margini
del fiume dell' Oblio ;di mezzo alla corrente vede la testa
bionda di Ofelia, addormentata , che nuota e canta:
Su flutto che mi porta
Non splende mai l'aurora:
Vo come foglia morta
Verso ignota dimora
.
Dolce l'oblio : di Lete
Alle dolcissime onde
Suttraete, traete,
Anime vagabonde.
Quante la vita ha glorie,
Quanti ha sogni l'amore,
La volutta' non valgono
Del mio divin sopore
.
L'altra, che riferisco intera, e non finisce mai di piacermi, e' Mentre tu canti. Qui armonizza la vaghezza del fantasma sognato con la pittoresca lineazione del personaggio: e ne nasce un effetto strano di musica e poesia insieme:
La voce tua m'arriva
Di sopra la muraglia umida e nera
La tua voce pel caldo aeree giuliva
Sotto il nitido sol di primavera.
Nell' aria si diffonde
Una gentil soavita' d' amore,
Sulla nera muraglia che t' asconde
Spuntan le rame dun mandorlo in fiore.
Mai non t' ho vista in volto,
Non so s' abbi nel cor gioia o tristezza.
Ma nelle note tue, mentre t' ascolto,
mi sembra di sentir la tua bellezza.
Quel mandorlo io vorrei
Essere, un ora, per virtu' d' incanti;
E sulla testa tutti i fiori miei
Ti lascierei cader, mentre tu canti.
Questi fiori che piovono dal mandorlo, quel mazzo di rose che
egli mandava alla Carducci, sono il simbolo piu' espressivo e
piu' degno dell'arte del Panzacchi.
Con una generosita' da gran signore egli effondeva, dovunque gli
fosse richiesta, la vena della larga cultura, del senso critico
sicuro del buon gusto e della poesia e dell' arte e una pioggia
di articoli, saggi, bozzetti, relazioni, novelle, liriche brevi,
amabili conferenze, discorsi solenni, si riverso' per piu' di
trent' anni nelle riviste, ne' giornali, negli albums
delle signore, e nelle aule e nei teatri e per le piazze.
Il Panzacchi spezzo', diffuse, disperse tutta una molteplice
multiforme attitudine ed attivita' in brevi creazioni: carattere
frammentario, come di incapacita' a creare l'opera organica, che
si riscontra del resto in quasi tutti gli scrittori
contemporanei. Egli stesso, per quanto abbia molto studiato e
scritto, confesso' di non aver mai sacrificato all'arte sua la
vita sua .Questo difetto di forte pazienza -e la pazienza e'
condizione necessaria del genio.
Ma chi potra' negare un omaggio di fiori, di rose a questo
simpatico complesso, di bell'anima e di bell'ingegno, di uomo e
di artista, che tanti fiori, tante rose seppe godersi e seppe
spargere sul nostro cammino?
Che se tale omaggio gentile fosse dovuto a mani di belle signore
e donne innamorate, noi forse udremmo (ci sia lecito anche a noi
sognare col Parini), noi forse udremmo del Panzacchi
Le commosse reliquie
Sotto la terra argute sibilar.
Milano, novembre 1905
GIUSEPPE LISIO