Caro diario,

a scuola mi ero accorta che stava succedendo qualcosa: i professori stavano diventando ostili nei miei confronti, spesso mi lasciavano in disparte durante le lezioni, non mi sgridavano e non si arrabbiavano quasi più e questo non perché non ci fosse nulla per cui correggermi. Negli ultimi tempi ero quasi diventata trasparente ai loro occhi.

Poi oggi ho scoperto il motivo di questo loro comportamento, o per meglio dire me l’hanno spiegato.

Dopo il solito saluto ci siamo seduti ognuno al proprio posto e il prof dopo aver controllato le assenze ha alzato gli occhi dal registro: dietro ai suoi occhiali ho potuto scorgere un velo di tristezza e di sconforto. Ha incontrato il mio sguardo per un attimo e poi lo ha distolto immediatamente. Allora ci ha chiesto se sapevamo cosa stava succedendo nella politica del nostro paese: noi abbiamo annuito; tutti conoscevano Hitler, Mussolini, i fascisti…

Ma non voleva parlarci di loro: voleva parlarci degli ebrei, di ME. Capii che sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei sentito parlare, spiegarmi qualcosa, ma non ci volevo credere. In fondo al mio cuore sapevo che sarebbe successo presto, ma non volevo ammetterlo: io non voglio lasciare tutti i miei amici perché voglio loro troppo bene. Non voglio, ma devo, sono obbligata. Alla fine dell’ora li ho salutati tutti, con le lacrime agli occhi e loro mi hanno promesso che non mi dimenticheranno, che mi vorranno sempre bene.

Li ho lasciati e ora io e la mia famiglia siamo soli e non so cosa accadrà adesso. Ho tanta paura.


Caro diario,

sono molto preoccupata: ti ho parlato molto spesso di Mary, la mia compagna di classe ebrea. Oggi è successa una cosa terribile.

Entrati in classe dopo il saluto e un veloce appello, il prof si è seduto alla cattedra e con nessun tatto ci ha annunciato che Mary da domani non verrà più a scuola con noi. Io le ero di fianco in quel momento e l’ho osservata: fissava ostinatamente il banco. Scommetto che si è sentita non male… di più: aveva addosso tutto il peso dei nostri sguardi che la guardavano meravigliati, alcuni increduli, altri, che non avevano capito nulla, la guardavano e basta. Io al suo posto mi sarei scavata una fossa e ci sarei sprofondata. Ho guardato i suoi occhi: quegli occhi chiari, che spesso vedevo sorridere, adesso erano spenti, persi nel vuoto, e sul punto di piangere. Ma è riuscita a trattenersi.

Il prof allora ha richiamato la nostra attenzione e ha cominciato a raccontarci la storia degli ebrei dall’inizio, dalle Crociate, poi alla loro fuga, fino ad arrivare ad adesso. Io le ho messo un braccio intorno alle spalle e le ho stretto forte la mano: ho capito che ha apprezzato questo mio gesto perché ha cercato il mio sguardo, l’ha trovato, e ha accennato un debole sorriso.

Sai, Mary è una ragazza carina, simpatica a tutti, orgogliosa e lo è stata fino alla fine, o quasi. Appena è suonata la campanella della fine dell’ora gli altri miei compagni si sono alzati, sono venuti intorno al suo banco, ma lei non ha saputo reggere nuovamente il peso dei nostri occhi sulle sue fragili spalle ed è scoppiata a piangere, ma non era sola e lo sapeva, perché io e le altre l’abbiamo abbracciata consolata e le abbiamo fatto ognuna una promessa: spero tanto che le altre la mantengano la loro, ma io non la deluderò e per questo non la lascerò sola, qualunque cosa succeda.


Camilla Macchiavelli IIID