TERIACA

Nel mondo antico, per difendersi dal morso, a volte letale, dei rettili e degli animali velenosi, erano disponibili alcuni antidoti che erano il frutto di esperienze millenarie. Questi rimedi erano chiamati “TERIACA”. Alcuni li attribuiscono ai discepoli del grande medico di Coo, altri, come Galeno, li fanno risalire ad alcuni vecchi medici della scuola alessandrina.
La “Teriaca” era conosciuta ad Alessandria già nel III° secolo A.C.. La prima prescrizione di qualcosa che assomiglia alla “Teriaca”, nelle ricette di Galeno, viene attribuita ad Apollodoro, ed è indicata esplicitamente quale antidoto contro il veleno delle vipere. La sua formula è molto insolita in quanto vi predominano componenti di origine animale, come il sangue di tartaruga e capretto, caglio di daino e lepre. Eccetto la prima “Teriaca” citata da Apollodoro, tutte le altre erano prevalentemente vegetali, e altre lo erano completamente.
Fra i componenti animali troviamo a volte il familiare cerbiatto, la lepre, il cervo e la tartaruga marina.
Alcuni erano “specifici”. Il più celebre e diffuso fra gli antidoti dell’antichità fu però il mitridato che, secondo la leggenda, sarebbe stato ideato da Mitridate re del Ponto, un genio della politica e grande stratega militare, vissuto nel I° secolo A.C., il quale, temendo ad ogni istante di essere avvelenato, avrebbe inventato questa panacea contro tutti i veleni, di cui faceva uso quotidiano in piccole dosi immunizzanti.
Il mitridato era composto da numerose erbe e dal castoreum, una sostanza estratta dalle ghiandole del castoro.

GALENO E LA TERIACA DI ANDROMACO

Chi si occupò a fondo del problema della “Teriaca” fu il medico latino Galeno; nato a Pergamo nel 129 D.C., studiò prima nella sua patria, in Grecia, per poi giungere a Roma dove svolse un’intensa e proficua attività di medico pratico e di scrittore.
Le sue opere giunte fino a noi consistono in 102 scritti di cui 19 dubbi, e 15 commentarii.
I libri che riguardano da vicino il nostro argomento sono " Degli antidoti I e II" e "Della Teriaca” . Galeno suddivise gli antidoti in tre gruppi principali:
quelli che potevano servire contro il morso degli animali velenosi
quelli contro i veleni somministrati per bocca
quelli contro le indisposizioni in senso lato
“Teriaca” era il nome dato al gruppo di antidoti contro il morso di animali velenosi.
La forma latina è “Theriaca”, nome femminile singolare. Sia le teriache che gli altri gruppi di antigeni erano composti prevalentemente da vegetali, da sostanze animali e talvolta da minerali.
Vino e miele costituivano gli eccipienti, cioè i veicoli delle altre componenti, ai quali era deputata anche un'azione energetica e stimolante.
Narra Galeno che il medico di Nerone, Andromaco, tolse alcuni ingredienti e ne aggiunse altri, tra cui il più importante era la carne di vipera e così inventò quella particolare teriaca cui diede il nome di "galene" , cioè "tranquillità" che conteneva 64 ingredienti.

Al primo posto tra gli ingredienti della teriaca di Galeno troviamo la scilla,una pianta della famiglia delle Liliacee, che cresce nelle spiagge di tutto il bacino del Mediterraneo: contiene gli scillareni, glucosidi diuretici e cardiotonici, impiegati in concomitanza o alternanza alla digitale o alle strofantine. Per la preparazione della teriaca si usavano parti del bulbo, trattate preventivamente perché fossero essiccate al punto giusto.
La carne di vipera doveva provenire da animali catturati nella tarda primavera, quando il loro veleno è meno potente e la sua carne bollita fino a che si staccava dalle ossa: pestata bene nel mortaio, veniva impastata con pane grattugiato finemente fino a completa amalgamazione, infine confezionata in pastette.
L’hedicroo era un composto di erbe aromatiche, che aveva lo scopo di coprire l’odore sgradevole degli altri componenti. L’invecchiamento ideale della teriaca per ottenere un’azione farmacologia equilibrata era di dodici anni: ma chi desiderava usarla contro il morso di animali velenosi, poteva prenderla di cinque o sette anni. La teriaca era ancora attiva dopo 30 anni dalla confezione, ma dopo i 50 sembra proprio che avesse perso ogni virtù. Si prendeva con acqua o vino, ma si consigliava di non assumerla dopo un pasto pesante. Se presa come profilattico, la dose doveva essere minore, non si doveva dare ai bambini, né doveva essere presa d’estate o in climi caldi. Con Galeno, la teriaca divenne un farmaco di uso molto comune. Il corpo non è per Galeno che uno strumento dell’anima ed è quindi chiaro il motivo per il quale il suo sistema, che corrisponde nelle linee fondamentali al dogmatismo cristiano, raccoglie ben presto l’appoggio dei Padri della chiesa.
Dalla fine dell’Impero romano fino all’XI secolo, la nostra teriaca si eclissa quasi totalmente. Ma con la rinascita dell’ Occidente nel XII secolo anche le “arti” riprendono vigore e tra queste l’arte degli aromatari. In quel secolo si ha notizia che a Venezia la teriaca venisse confezionata e largamente commercializzata.
Con il Rinascimento si pongono alle menti più aperte non pochi interrogativi su questa panacea. Il più immediato e pertinente, riguardava l’identità dei suoi componenti. L’accademica discussione si trascinò per decenni. Perciò nel 1663 il Collegio medico diede “Alcuni avvertimenti per la dispensa e preparazione degli ingredienti della Triaca da farsi …dagli Speciali”. Sembra che Venezia avesse una specie di primato nella produzione e nel commercio del farmaco, tanto che la sua triaca era conosciuta coma la Triaca di Venezia. Anche a Bologna, non fu meno in questo campo e, come vedremo, la triaca ebbe sempre un posto di primo piano nell’arte della spezieria locale.
La bimillenaria Galene compare ancora nella Farmacopea Tedesca del 1872 e in quella francese del 1884. Dal cinquecento in poi non poche voci si levarono per denunciare l’inefficacia del medicamento.

Lo Studio, il Collegio medico e il Protomedicato

Nei secoli XII e XIII, l’arte di curare i malati, rimasta fino allora nelle mani di monaci pratici, di ciarlatani e, quando andava bene, di medici autodidatti cominciò a presentarsi come un’attività organizzata che a poco a poco andò assumendo forme giuridiche e disciplinari. Fu soprattutto per i meriti e il prestigio personale di alcuni grandi maestri di medicina, che come scienza e dottrina si erano portati alla pari dei giuristi, si formò la Universitas scholarium artistarum, nella quale i medici tenevano il posto più autorevole. Da essa nascerà nel XIV secolo il Collegio di medicina e arti. Il Collegio di medicina non comprendeva perciò tutti i medici della città e del territorio, i quali erano soltanto “matricolati” in una specie di Albo; pertanto l’antico Collegio non può essere paragonato all’odierno Ordine dei medici esistente in ogni provincia. I dottori collegiati dovevano avere conseguito i “gradi"( che a Bologna consistevano soltanto nella laurea finale), presso il nostro Studio o in un altro che godesse di altrettanta fama. Inoltre dovevano aver insegnato in “publicis scholis”, almeno per un anno.
Alla tutela della professione medica e al controllo delle arti sanitarie minori, provvedeva il Protomedicato, cioè quella speciale commissione costituita da tre collegiati, un priore e due protomedici, eletti con frequenza bimestrale. Compito principale del Protomedicato era la visita alle farmacie della città e del contado, per il controllo dei “semplici” e delle composizioni; aveva inoltre l’obbligo di compilare l’Antidotario, di stabilire ogni anno la “tassa”( cioè il listino dei prezzi dei medicinali), di sorvegliare le abilitazioni ai diversi rami della medicina, di vigilare su quelli che le esercitavano, di comminare eventuali sanzioni ai trasgressori.
Chi riuscì a far decollare questo organismo fu un protomedico di eccezione, Ulisse Aldrovandi, che nel 1554 si mise alla testa del movimento disciplinatore delle spezierie bolognesi. La sua tenacia e il suo impegno furono tali da ottenere, nel 1561, che la cattedra dei semplici, che oggi chiameremmo di farmacologia, e che egli ricopriva dal 1556, venisse trasformata da facoltativa in ordinaria. Coronamento di questa incessante attività fu la stampa di un Antidotario che, proprio perché emanato sotto l’egida della pubblica autorità, sarebbe stato garanzia del retto funzionamento delle farmacie.

La compagnia degli Speziali

Non sappiamo con esattezza quando sia sorta l’Arte degli Speziali a Bologna.
Alla fine del Trecento si credette opportuno aggiungere, a quello della stessa Arte degli Speziali, anche il controllo, delle autorità mediche.
Nel 1554 avvenne l’atto di sottomissione ufficiale della Compagnia al Protomedicato, sponte et volontarie; ma in realtà era un atto imposto e per nulla volontario e lo dimostreranno negli anni e nei secoli successivi i continui attriti tra i due gruppi. Venne istituito il Catalogo degli Aromatari (una specie di albo dei farmacisti), per mettere ordine nella variopinta accozzaglia di venditori di medicine e affini e fu compilato il Catalogus medicamentorum tam simplicium, quam compositorum quae in pharmacopaeis tam civitatis quam Comitatus Bononiae assidue servasi debent (1563). Nel 1574 fu stampato, come si è detto sopra, il primo Antidotario.
Tra i capitoli più salienti, vi è quello della visita alle farmacie, che avveniva trimestralmente in città e circa due volte all’anno nel contado. I farmacisti dovevano obbligatoriamente tenere la scorta di medicinali semplici descritti nell’Antidotario ufficiale.
Le visite sanitarie non si svolgevano soltanto nelle farmacie; il capitolo 2 delle leggi del 1666 del Protomedicato prevedeva anche le visite alle “sostanze aromatiche e ai medicinali” una volta all’anno, i Protomedici dovevano ispezionare anche le farmacie degli Ospedali.
Le visite erano seguite da un rapporto dei protomedici all’Assunteria di Sanità. A volte si tratta di relazioni laconiche che danno l’impressione di abitudinarietà, ma nella maggioranza sono rapporti molto circostanziati che rivelano serietà e impegno dei singoli protomedici.

La teriaca a Bologna

I controlli del Protomedicato alle medicine venivano eseguiti sia sul materiale giacente nelle farmacie, durante le visite ad esse, sia sulle composizione dello stesso medicinale, che doveva essere preparato alla presenza di un Protomedico. Il capitolo 14 delle leggi del Protomedicato stabiliva, infatti, che il priore o uno dei protomedici a scelta doveva essere presente alla composizione dei medicinali, per controllarne i pesi e le dosi usate, per farne poi fede nel Libro del Testimonio, che era d’obbligo tenere, secondo un Editto emanato nel 1688, presso ogni spezieria.
Caso a parte era la composizione della Teriaca che era riservata a tutto il collegio e che veniva preparata ogni anno, in primavera, nel cortile dell’Archiginnasio. Ma non era stato sempre così. I compiti e le prerogative di questo organismo, già delineati con sufficiente chiarezza negli Statuti dell’epoca dell’Aldrovandi, avevano trovato definitiva sistemazione in un “manuale” ad uso dei protomedici intitolato “Pro recta administratione protomedicatus” stampato per la prima volta a Bologna nel 1650. E’ significativo che, subito dopo aver riportato quella che può essere ritenuta la sua data di nascita, il 26 ottobre 1517, il cronista notaio riferisca: “Nell’anno del Signore 1550 viene confezionata solennemente la teriaca dagli aromatari; e dai protomedici sono esaminati con la massima diligenza tutti gli ingredienti e i loro sostitutivi”.
Ma se i rapporti fra i medici e farmacisti erano normalmente poco cordiali,in occasione della preparazione della triaca diventavano incandescenti. L’Aldrovandi, di sua iniziativa, modificò la formula di Galeno, introducendo l’amomo e il costo vero; gli speziali insorsero perché contrari alla modifica, ma il Collegio dei medici approvò l’operato dell’Aldrovandi e la teriaca fu messa in commercio, ottenendo anzi un insperato successo .L’anno seguente, lusingati del risultato, gli speziali vollero rifarla secondo la formula corretta. L’undici giugno 1575convocarono i protomedici Aldrovandi e Alalberghini alla spezieria del Melone perché controllassero gli ingredienti e i trochisci delle vipere(le pastette di carne di vipera preparate ed essiccate in precedenza). Ma l’Aldrovandi osservò che questi non erano idonei; la questione fu portata dagli speziali al collegio dei medici, dove le sue tesi furono respinte. Non solo, ma dietro un ricorso della potente compagnia degli speziali ai supremi tribunali, l’Aldrovandi fu privato della carica di protomedico ed espulso dal collegio per cinque anni. Il 28 luglio 1577 papa Gregorio XIII lo reintegrò.
I rapporti tra i medici e i farmacisti continuarono più o meno su questo tono anche nei decenni successivi.

La festa della teriaca all’Archiginasio

Con grande solennità il collegio di medicina d'accordo con gli Speziali, fissava la data della composizione e rinnovava il solito elenco di ingredienti da procurare. Essi venivano esposti al pubblico per tre giorni, quindi alla presenza di medici, degli speziali, e co grande concorso di dame e di cavalieri si dava inizio alla grande “polentata” nel cortile dell’Archiginasio, fastosamente addobbato come ce lo illustra un celebre acquerello di Domenico Ramponi. La lunga preparazione durava un paio di mesi( quando era rapida soltanto quaranta giorni); a fine cottura la teriaca veniva lasciata raffreddare e poi distribuita in vasi piccoli per le singole farmacie che l’avevano prenotata, e in qualche vaso più grande che veniva conservato dalla compagnia per successive ordinazioni.
Un vaso campione severamente sigillato dal Collegio dei medici, era conservato nell'apposito armadio presso lo Studio e doveva servire come controllo.
Nel primo antidotario del 1574, la teriaca confezionata a Bologna contava 61 ingredienti e 2 eccipienti.
A dare maggiore garanzia di autenticità e di efficacia del farmaco, i vasi che lo contenevano venivano sigillati con una carta apposta sulla quale era stampata, in bei caratteri ornati, la dicitura: <Teriaca fabbricata pubblicamente dal Collegio degli Speziali, alla presenza dell’almo Collegio medico, nel pubblico Archiginnasio di Bologna>. Nell’ antidotario del 1783 la troviamo ancora scritta a pieno diritto.
I componenti erano ancora 61 più gli eccipienti.
Nell’antidotario del 1800, stampato a Venezia per conto del superstite Collegio di Medicina, riproducente fin nei particolari più minuti l’edizione bolognese del 1783, tra i medicamenti galenici si trova ancora la Teriaca magna de Andromaco; e non fu neppure l’ultima volta che essa comparve ufficialmente perché, nel 1823, passata la bufera napoleonica e ripristinato il governo pontificio, la Commissione provinciale di Sanità la inserì a pieno titolo nella Tariffa dei medicinali.