Era una notte buia e tempestosa che vi giuro non dimenticherò
mai. Avevo litigato con i miei ed ero uscita di casa sbattendo la porta e sentendo
ancora le urla alle mie spalle.
Dopo aver camminato per un'ora vidi un bosco e decisi di entrare. Non so perché
entrai, non mi è mai piaciuto camminare al buio, però non nego
che quel luogo mi attraeva in modo particolare: poco dopo cominciai ad avere
brividi dovunque. Avevo freddo, un freddo strano, innaturale, come se il mio
corpo fosse morto senza un briciolo di calore. Decisi così di tornare
indietro, ma appena mi avviai avvertii in lontananza un nitrito. Mi voltai e,
nel fitto degli alberi, tra la luce della luna, vidi galoppare un cavallo con
una persona in groppa tutta nera. Incuriosita, mi avvicinai, i cavalli mi erano
sempre piaciuti, quando dal fitto del bosco il cavaliere levò un urlo
agghiacciante. Un brivido gelido mi percorse la schiena. Ripresi allora la strada
a ritroso, ma mi sembrava di non sapere più da dove ero venuta. Inciampai
in una radice e il cavallo si accorse della mia presenza, e cominciò
a nitrire e a scalpitare. Dalla sua groppa scese la sagoma nera. Aveva in mano
qualcosa che luccicava, o meglio, una lama che luccicava: sì, era proprio
un coltello! Pochi attimi e mi avrebbe raggiunto. Scappai in preda alla paura
e, anche se non osavo voltarmi, sapevo che avevo la sagoma nera alle mie spalle
e questo pensiero, nella cupa oscurità del bosco, mi faceva impazzire.
Non so come ma in un baleno fui fuori dal bosco e mi ritrovai nella periferia
della città, un luogo che non conoscevo bene: ero sempre vissuta lontano
da lì. Ricominciai a correre a perdifiato, mentre la sagoma continuava
a seguirmi. Poi, col cuore in gola, mi ritrovai in un vicolo cieco: ero in trappola!
Non sapevo cosa fare, vidi in un attimo la mia vita scorrere come un flash nella
mia mente e cominciai a piangere. La sagoma mi raggiunse e mi puntò il
coltello contro. Svenni.
Quando mi svegliai ero in un letto d'ospedale con mia sorella accanto. Nessuno
sapeva perché ero stata trovata distesa in un vicolo di periferia con
un'incisione a forma di stella sul braccio
Mia sorella mi chiese cosa
fosse successo. All'inizio io non ricordavo niente o meglio, non volevo ricordare.
Poi, a un tratto, scoppiai a piangere e raccontai. Dovevo raccontare. Era da
tanto tempo che sentivo la sua presenza, e sapevo che sarebbe tornato a cercarmi.
Anni prima, mentre mi accompagnava a casa abbiamo avuto un incidente: lui, morto
sul colpo, io illesa, senza neanche un graffio. Lui non lo ha mai accettato.
Amava chiamarmi "stellina". Sapevo che non sarebbe mai finita, era
lui che mi aveva attirato nel bosco, e sapevo che avrebbe tentato ancora di
uccidermi: lui era tornato!
Giulia B. - Classe 2^
C - Scuola Media "E. Panzacchi"
<
indietro